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Caro direttore,

strano Paese è quello dove ancora si discute di redistribuzione della ricchezza quando sarebbe necessario pensare a come crearla quella ricchezza.

Ancora più strano è quel Paese che ha in sé tutte le opportunità per riuscire a distinguere la propria manifattura grazie proprio alle caratteristiche uniche del proprio sistema produttivo rispetto ai modelli di un mondo globalizzato.

Strano Paese, icona di stile e di buon gusto per tutti i consumatori degli altri Paesi, in particolare quelli dove via via si è affermata una notevole capacità di spesa e di novelli ricchi che desiderano attestare il loro status esibendo i simboli dell’eccellenza di quel Paese: gli abiti, gli arredi, il cibo, le auto.

Strano Paese dove i brand del lusso sono oggetto del desiderio, del sogno e dei vizi di gente facoltosa che potrebbero portare a benefici per tutti, ma dove il lusso è vittima degli anatemi del fisco e di chi, la ridistribuzione, vorrebbe farla con i soldi degli altri. 

Strano Paese è sempre quello che all’improvviso sembra aver compreso il meccanismo di causa effetto nel rapporto consumi interni ed aumento della produttività delle proprie imprese, che il rigore accompagnato da un aumento della pressione fiscale sulle imprese e sulle famiglie, senza  tagli adeguati alla spesa improduttiva, non genera una futura ricchezza ma solo ulteriore recessione, maggiori problemi e disagi sociali. Ed il giorno dopo aumenta l’imposta sul valore aggiunto.

E’ il Paese vittima della sindrome di Tafazzi. Sindrome stupida e irrazionale: per questo pericolosa e difficilmente curabile con una blanda terapia analgesica basata su proclami e buone intenzioni. Ci si occupa dei sintomi della malattia e non di sconfiggere il virus che li ha generati.

La nostra comune sindrome di Tafazzi ci impedisce di scatenare gli anticorpi in un deciso intervento terapeutico: liberare le risorse straordinarie che sono naturali in ogni italiano, lavoratore o imprenditore che sia, gravate ancora oggi dal peso di una burocrazia senza costrutto, dai lacci di una concertazione per la quale ogni decisione necessita di mille tavoli e confronti, dalla mancanza di coraggio di chi ha l’onore e il privilegio di guidare il Paese che deriva da una sostanziale assenza di un forte supporto politico, sebbene goda di una ampia quanto anomala maggioranza parlamentare.

La cura è in quel decisionismo che è prerogativa di un leader, necessario oggi più che mai, e realizzabile solamente attraverso una riforma dell’ordinamento costituzionale della nostra Repubblica e la definitiva affermazione di un sistema presidenziale.

Liberiamoci di Tafazzi: che resti nella memoria solo un divertente personaggio e non il comune denominatore della patologia di una intera nazione.

Leadership e presidenzialismo, basta tafazzismi

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