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Riforme, riformismo, riformista: ‘ri-dare’ il senso e il significato autentici a queste tre parole entrate prepotentemente nel lessico culturale, politico ed economico, e’ opera meritevole per correttezza semantica e soprattutto non ingannare la gente. Oggi anche il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel ‘sermone’ domenicale, tratta il tema e si domanda: riformisti o rivoluzionari? socialisti o liberali? progressisti o moderati? Nel 2006-2007 aveva sponsorizzato a piene mani la campagna di Anthony Giddens e di John Lloyd sulla fine e/o morte del socialismo e sulla bonta’ della ‘terza via’ di Tony Blair. ‘Terza via’ liberista – la societa’ non conta, conta il mercato – che l’allora leader del Pd, Walter Veltroni fece sua: oggi nel suo libro ‘E se noi domani – L’Italia e la sinistra che vorrei’, scopre o meglio riscopre l’azionista Piero Calamandrei. Quel che lascia interdetti di Scalfari, che pure s’era prodigato a garantire sul ‘riformismo’ di Mario Monti e di Mario Draghi, entrambi sostenitori accaniti delle ‘riforme di struttura’ o ‘strutturali’, come l’establishement neoliberista dell’Ue, sono le disinvolte leziose ma grossolane giravolte. Due anni fa, a maggio del 2011, aveva tessuto, insieme a Giorgio Napolitano e Giuliano Amato, l’elogio del ‘riformismo’ di Antonio Giolitti, il raffinato intellettuale della Einaudi prestato al Pci e, dopo la tragedia dell’invasione sovietica dell’Ungheria del ’56, approdato al Psi dove, con Riccardo Lombardi, fu protagonista della ‘programmazione economica’, sulla quale si caratterizzo’ la politica socialista, le riforme di struttura o strutturali, all’epoca del centro-sinistra degli anni ’60-’70. Quella di Giolitti e di Lombardi fu ‘una scuola di pensiero’ che incise ed influenzo’ il dibattito culturale e politico: tra le tantissime ‘teste d’uovo’ Fua’, Sylos Labini, Spaventa, Ruffolo. Una ‘scuola di pensiero’, apprezzata poco dal Pci ad eccezione di Bruno Trentin, che ne incrocio’ un’altra altrettanto prestigiosa: quella dell’economista Federico Caffe’, noto per ‘la solitudine del riformista’. Tutte cose che Scalfari conosce – dovrebbe conoscere – assai bene, come conosce – dovrebbe conoscere – assai bene chi furono i protagonisti di quella che ormai da un ventennio viene riconosciuta come l’unica stagione riformatrice che cambio’ il volto del Paese. Cosi’ definisce con sicumera che ‘rvoluzionaria’ e’ stata la riforma del servizio sanitario nazionale – omette di dire che fu avviata nel 1968 dal socialista Luigi Mariotti con l’ospedalizzazione pubblica e l’istituzione dei Cim – la scuola dell’obbligo – omette di dire che fu varata nel 1962, dal primo centro-sinistra del dc Amintore Fanfani e che fu voluta da Tristano Codignola, altro socialista – il divieto di licenziamento ‘senza giusta causa’, non lo chiama, chissa’ perche’, l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori – omette di dire che la stesura materiale fu del giuslavorista socialista Gino Giugni designato dal ministro del Lavoro il socialista Giacomo Brodolini che non vide la sua approvazione nel 1970. Ancora piu’ grave, e direi disonesto, e’ che cancella totalmente che ‘il riformista’ Monti proprio sull’art. 18 ha messo in bella mostra la sua concezione di ‘riforma di struttura’ o ‘strutturale’. Dal confronto tra i riformisti Giugni e Brodolini da una parte e  il riformista Monti dall’altra si capisce cosa intendessero i primi per riforme ed esser riformisti, dare dignita’ al lavoro, riconoscere liberta’ sindacale e politica del lavoratore, e cosa intende l’ex-rettore della Bocconi: il lavoratore e’ merce, la liberta’ sindacale e politica sono un impedimento e quindi da eliminare. Lo stesso dicasi per Welfare State, sanita’,  scuola, ricerca, universita’: conquiste di civilta’ per i riformisti degli anni ’60-’70, settori superflui e dispendiosi da ‘privatizzare’ per i riformisti odierni che vorrebbero usare scuola, ricerca, universita’ per controllare e dirigere la formazione e l’istruzione. Omette ancora, il fondatore di Repubblica, di ricordare che in quegli anni ci fu la riforma di struttura delle nazionalizzazione dell’energia elettrica – il cui protagonista e’ stato Lombardi – la riforma della mezzadria, la cedolare secca e che per la forte ostilita’ dei settori piu’ retrivi della Dc non si fece la riforma urbanistica o dei suoli, ne’ si pote’ fare, per l’opposizione dell’allora Governatore della Banca d’Italia, la riforma del sistema bancario per renderlo piu’ trasparente da ‘rocca inespugnabile’ quale era, come diceva Lombardi, e della borsa, dove nell’ombra operavano quelli che Caffe’ chiamava ‘gli incappucciati’, vale a dire i predatori dei risparmi della gente. Definisce ‘rivoluzionaria’ l’introduzione della moneta unica, l’euro: stando ai disastri prodotti in termini sociali – le diseguaglianza crescenti – ed economici – aree super garantite, la Germania ed aree emarginate, il Sud Europa – tanto ‘rivoluzionaria’ non sembra. Infine, e’, per Scalfari, ‘rivoluzionario’ il diktat di François Hollande (altro socialista) alla Angelina Merkel: entro il 2015 la nascita di un governo unitario europeo con l’elezione del Presidente con il voto diretto dell’intero popolo europeo. Omette, pero’, di dire che lo schema di riferimento di Hollande e’ agli Stati Uniti d’Europa, gia’ elaborato a suo tempo dal Partito d’Azione che oggi Veltroni riscopre con Calamandrei e la sua ‘riforma’ dello Stato con l’elezione diretta del Capo dello Stato secondo il modello anglosassone: ma nel 1946 gli azionisti erano ‘fastidiosi’, dei ‘rompiballe’, non volevano i Patti Lateranensi nella Costituzione, e ad essi Palmiro Togliatti preferi’ la Dc.

 

Le amnesie di Scalfari: elogia riforme ma omette protagonisti

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