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Non è bastata l’uccisione di Osama Bin Laden, la decimazione dell’organizzazione centrale, i continui raid dei droni (soprattutto in Pakistan). Al Qaeda è un fantasma che fa ancora paura agli Stati Uniti e all’Occidente, anche se l’Europa sembra aver delegato la lotta al terrorismo al solo alleato transatlantico.

Quando, pochi giorni fa, l’Amministrazione ha informato della chiusura di numerose ambasciate in aree “sensibili” (nord Africa, Medio Oriente e Asia) ed ha diffuso un “travel alert” a tutti i cittadini americani in transito per quei Paesi, per turismo o lavoro, si è avuta la sensazione chiara che i dati nelle mani dell’intelligence dovevano segnalare un rischio particolarmente grave anche se solo relativamente circoscritto.

Il fantasma, un po’ dimenticato, è tornato ad agitare i sonni ed ora ha il volto di un giovane e tenebroso ragazzo saudita di trent’anni, Ibrahim Al Asiri (nella foto). È lui, secondo il settimanale Time, “the most dangerous terrorist in the world”.

È un fabbricatore di bombe ed è, secondo gli analisti, un abilissimo architetto di attentati essendo capace da un lato di produrre esplosivi che riescono a bypassare i controlli e dall’altro di reclutare “insospettabili”. Insomma, sarebbe lui la bestia nera da scovare e che, nonostante gli sforzi fatti, ancora riesce a sfuggire al controterrorismo Usa. Il suo rifugio dovrebbe essere in Yemen ed è qui infatti che è concentrata l’attenzione e la preoccupazione per un eventuale attacco ad obiettivi occidentali.

È di oggi la conferma della notizia che a Sana’a, oltre all’ambasciata americana, resteranno chiusi i cancelli delle rappresentanze diplomatiche di Germania e Gran Bretagna che ha invitato i suoi concittadini a lasciare lo Yemen. Da parte sua, il paese islamico ha annunciato, attraverso il suo ministro degli interni, di avere “rafforzato le misure di sicurezza, durante gli ultimi giorni di Ramadan, nei pressi di installazioni vitali, nelle sedi istituzionali nazionali e presso interessi occidentali”.

Se è dallo Yemen che potrebbe partire l’ordine di un nuovo attentato clamoroso, non è detto che sia quello il luogo prescelto per la follia terrorista e di qui la scelta di estendere l’allerta in tutti gli Stati islamici. D’altronde, nelle ultime settimane sono avvenuti tre fatti di cronache che, se messi in fila insieme (come ha fatto molto efficacemente l’ottimo Molinari su La Stampa), fanno una certa impressione.

Da Iraq, Libia e Pakistan sono riusciti ad evadere poco meno di duemila detenuti molti dei quali miliziani jihadisti. Un potenziale esercito pronto alla guerra santa. Sta finendo il mese sacro del Ramadan, domenica sarà il compleanno di Obama, domenica è anche il giorno dell’insediamento del “moderato” Rowhani nel cruciale Iran e queste sono le ore in cui si stanno preparando i nuovi negoziati di pace fra Israele e Palestina.

Tutto questo nel contesto di un Mediterraneo in profondo subbuglio con spinte e controspinte che vedono paesi come Libia, Siria ed Egitto ancora nel caos. Ed è il Cairo la capitale più rappresentativa e forse non è affatto un caso che sia tornato in un messaggio audio l’attuale leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri. In un forum di jihadisti ha voluto accusare gli Stati Uniti di aver complottato con l’esercito egiziano per la destituzione del presidente Morsi, rappresentante dei Fratelli musulmani. Un altro presagio tutt’altro che positivo.

La lotta al terrore prosegue, aspettando – intanto – la conclusione del Ramadan.

Il fantasma di Al Qaeda è tornato ed è di nuovo terrore

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