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«Di contro a sconcertanti e, forse, transitorie esperienze c’è quello che solo vale ed al quale bisogna inchinarsi, un modo nuovo di essere nella condizione umana. È l’affermazione di ogni persona, in ogni condizione sociale, dalla scuola al lavoro, in ogni luogo del nostro Paese, in ogni lontana e sconosciuta regione del mondo; è l’emergere di una legge di solidarietà, di eguaglianza, di rispetto di gran lunga più seria e cogente che non sia mai apparsa nel corso della storia. E, insieme con tutto questo ed anzi proprio per questo, si affaccia sulla scena del mondo l’idea che, al di là del cinismo opportunistico, ma, che dico, al di là della stessa prudenza e dello stesso realismo, una legge morale, tutta intera, senza compromessi, abbia infine a valere e dominare la politica, perché essa non sia ingiusta e neppure tiepida e tardiva, ma intensamente umana».

È uno stralcio del discorso che Aldo Moro tenne in occasione del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, il 21 novembre 1968. Dove il primato della persona emergeva alto e imponente, per via di quel collante chiamato solidarietà sociale. Che al suo interno, come uno scrigno tutto da scoprire, custodisce un doppio tesoro. Da un lato l’essere umani, con la dignità del singolo essere pensante; e che (dall’altro) diventa cittadino attivo grazie al suo stato di zoon politikon di aristotelica memoria. Con le conseguenti valige di diritti che in quel frangente appaiono, come d’incanto, dinanzi agli occhi del soggetto. Ma l’uomo da solo non è sufficiente, ne occorrono altri per creare la comunità, quell’agorà all’interno della quale strutturare un meccanismo virtuoso di anelli che si intrecciano e, di conseguenza, traggono forza da quell’unione. A trentacinque anni dal ritrovamento del corpo in via Caetani, è utile riflettere su quegli spunti, anche alla luce di due volumi, Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana di Paolo Acanfora e L’eredità politica di Aldo Moro di Pietro Panzarino. Per sottolineare la straordinaria attualità delle sue intuizioni, dove l’uomo è vero fulcro della rinascita morale della politica e del suo paese. Nettare di cui chi si occupa a tempo pieno della cosa pubblica non può non nutrirsi.

Un’intelligenza politica raffinata, il cui pregio è stato quello di interpretare a fondo gli accadimenti, dandone una lettura lucida e lungimirante, anche troppo, per “quei” tempi. La legge di solidarietà a cui si rifà in quel discorso dorrebbe essere il totem a cui la politica deve ispirarsi per rinnovarsi. Nella consapevolezza che quando si usano termini come “società civile” o “vicinanza alla gente” si intende, in soldoni, proprio questo. Ovvero la politica che si fa umana, che si spoglia della supponenza materiale che la distanzia sideralmente dalla percezione reale delle cose e della vita quotidiana che investe i cittadini-elettori. Che lascia nel dimenticatoio quel vocabolario ancestrale e polveroso che nessuno, al di fuori degli addetti ai lavori, alla fine riesce a tradurre in frasi di senso compiuto.

Cosa resta allora di quel rigurgito di violenza di ieri, con il blitz contro Moro e la sua scorta, e con il tragico epilogo di un’epoca? Le lezioni del professore universitario, i suoi scritti proclamati in occasione di riunioni politiche, gli interventi nelle commissioni parlamentari, quel fare mansueto ma non per questo privo di intensità. E in un momento in cui si ragiona, da un lato a colpi di spread e dall’altro di polemiche di bassissima leva, ricordare qualche spunto di Moro non può che suonare come una sveglia alle coscienze e alle menti del paese che, a volte, rischiano di assopirsi.

twitter@FDepalo

La lezione di Moro? Una politica intensamente umana

«Di contro a sconcertanti e, forse, transitorie esperienze c'è quello che solo vale ed al quale bisogna inchinarsi, un modo nuovo di essere nella condizione umana. È l’affermazione di ogni persona, in ogni condizione sociale, dalla scuola al lavoro, in ogni luogo del nostro Paese, in ogni lontana e sconosciuta regione del mondo; è l’emergere di una legge di solidarietà,…

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