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I recenti avvenimenti di piazza Taksim a Istanbul e le proteste diffuse in larga scala nel resto della Turchia sono la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai colmo. Gli scontri del primo maggio tra polizia e manifestanti; le proteste del bacio; il tentativo di bandire e limitare la vendita di alcolici senza dimenticare le numerose manifestazioni universitarie nei più noti atenei della capitale – sono tutti segnali di un disagio sociale che a Gezi Park segna la prima vera sconfitta pubblica del Premier Recep Tayyıp Erdoğan.

L’Akp con le sue origine islamiche e un’agenda economico-liberale è una storia di successo nella gestione della Turchia. Nei suoi dieci anni di governo, infatti, ha attirato un grande consenso sociale, che è sfociato nella vittoria delle elezioni politiche del 2011, marcando il successo della leadership e sfidando vincoli sistemici fino ad allora considerati intoccabili. La forza dell’Akp si è basata sostanzialmente nell’aver saputo cogliere il momento reagendo, almeno nei suoi primi due mandati elettorati, ai cambiamenti esterni e ai mutamenti del sistema e contribuendo a creare un nuovo corso nella gestione politica del Paese.

Il periodo di governo dei conservatori democratici può essere diviso in due fasi: il primo si avvia con l’ascesa sulla scena pubblica del 3 novembre 2002, in cui tutti gli sforzi sono stati concentrati all’”internazionalizzazione” del potere e sono stati segnati da una sorta di presa di confidenza con le strutture dello Stato e la burocrazia; mentre con il successo elettorale del 2007 si marca l’inizio dell’esercizio effettivo del potere, segnato da un maggior controllo dello spazio pubblico, incarnato dalla leadership particolarmente carismatica di Erdogan.

Se alla base del nuovo orientamento vi era la trasformazione di un movimento islamista da una politica strettamente identitaria ad un’apertura liberale che incoraggia e riconosce le diversità, negli ultimi anni le politiche sono state dettate da un eccessivo populismo e personalismo, che ancora oggi necessitano di esperienza per rafforzare il consenso e mantenere il potere.

Alla luce delle recenti dinamiche interne e del diffuso malcontento, provenienti soprattutto dai settori secolari medi alti della società, è opinione diffusa che il governo stia guidando la Turchia secondo le logiche di una maggioranza “conservatrice” che ha poco a che fare con il pluralismo democratico. Il dato certo è che la mancanza di un dibattito collettivo nell’elaborazione della politiche riflette le logiche strutturali di un sistema a partito dominante, con una soglia di sbarramento del 10%, e la conseguente tendenza autoritaria del leader, che grazie alla crescita della sua popolarità limita l’elaborazione di politiche realmente inclusive e significative per il Paese.

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Valeria Giannotta è ricercatrice del Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali dell’Università Sabahattin Zaim di Istanbul.

Erdogan huawei

Turchia, il personalismo di Erdogan divide la nazione

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