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Il Fondo Strategico italiano catalizzatore per la crescita? Una vita ancora giovane quella della holding di partecipazioni, il cui azionista è la Cassa Depositi e Prestiti (80,1% ministero dell’Economia, 18,4% Fondazioni di origine bancaria), ma il Fondo Fsi ha molte ambizioni.

In un seminario Aspen che si è tenuto a Parigi negli scorsi giorni, i vertici del Fondo, guidato dall’ad Maurizio Tamagnini e presieduto dall’ad di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, hanno spiegato obiettivi e strategie a economisti, operatori finanziari, manager e qualche politico.

Fsi è attivo dall’inizio del 2012 e conta su un portafoglio di circa 1,3 miliardi di euro. Un passo importante per il sostegno del Made in Italy – secondo i vertici della Cassa – è stato fatto poi nel novembre 2012, con la joint-venture di 2 miliardi di euro tra FSI e Qatar Holding.

Settori strategici e criteri d’investimento

I settori strategici su cui si concentra il Fondo? La difesa, la sicurezza, le infrastrutture e I servizi pubblici, i trasporti, le telecomunicazioni, l’energia, i servizi finanziari e assicurativi, la ricerca tecnologica
Per quanto riguarda i criteri d’investimento, il Fsi – è stato sottolineato nel seminario a porte chiuse a Parigi – punta a operazioni di capitalizzazione per la crescita delle aziende italiane, investimenti diretti fino al 49%, investimenti fino a 10 anni, oppure  a società che abbiano un fatturato annuo netto non inferiore a 240 milioni di euro, e un numero medio di dipendenti non inferiore a 200 unità. D’altra parte, le società nel mirino del Fsi non possono essere in situazione di stress finanziario.

Debolezze ed opportunità del mercato azionario italiano

Secondo la ricostruzione di Formiche.net, nel convegno parigino dell’Aspen il Fondo di Tamagnini avrebbe sottolineato le debolezze del mercato azionario italiano, con l’accesso limitato in Borsa ed un azionariato privato in calo in Italia. Ma le opportunità restano se si considera che l’Italia, si è evidenziato, rappresenta la seconda economia manifatturiera in Italia. I gruppi italiani inoltre sono leader mondiali in settori di nicchia e c’è un’alta percentuale di gruppi familiari che affrontano indebitamento e successione. Insomma, le aziende italiane sono attraenti.

Un mercato sottopotenziato

Il mercato dell’azionariato privato italiano, hanno sottolineato i vertici di Fsi, ha un peso inferiore a quanto ci si aspetterebbe se confrontato con l’importanza del Pil, e gli investimenti di private equity nelle società italiane stanno diminuendo. E l’accesso in Borsa resta limitato. A partire dal 2008, solo 5 Ipo (Initial Public Offer) su 15 hanno ottenuto offerte superiori a 100 milioni di euro (Yoox, Enel Green Power, Ferragamo, Brunello Cucinelli, Moleskine). La penetrazione dell’azionariato privato è significativamente minore rispetto a quella di altri Paesi simili. L’allineamento alla media europea comporterebbe una dimensione almeno doppia del mercato azionario privato.

Dimensioni, R&D e redditività delle imprese

L’Italia ha un numero relativamente basso di grandi società. E quello che serve per la crescita, secondo il gruppo di Tamagnini, sono i capitali. La dimensione, del resto, è un aspetto fondamentale per la profittabilità e il capitale per sostenere la crescita è dunque basilare anche per aumentare la redditività delle imprese. Le grandi società investono di più in ricerca e sviluppo (R&D) e sono più produttive. R&D e redditività sono correlate con la dimensione delle società.

Una classe imprenditoriale vecchia

La successione generazionale è un’opportunità per aumentare il capitale, ma l’Italia presenta un numero significativo di vecchie famiglie del business, ha sottolineato Tamagnini a Parigi. Del mercato azionario italiano il Fondo Strategico italiano dà comunque una valutazione positiva, definendolo attraente.

Il Fondo strategico della Cdp spiegato a Parigi in casa Aspen

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