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Chi è la ministra che dice bugie? Il guardasigilli Paola Severino, secondo Marco Travaglio, che le dedica oggi il suo editoriale di prima pagina sul Fatto Quotidiano. Il giornalista rimprovera alle istituzioni di non aver speso neanche una parola di solidarietà verso il pm di Palermo, Nino Di Matteo, finito nel mirino di Cosa Nostra (due lettere anonime recapitate alla Procura di Palermo di cui ha dato notizia il Fatto parlano di un piano del boss latitante Matteo Messina Denaro per eliminarlo). E al ministro della Giustizia di averne sprecato ingiustamente per elogiare il procuratore generale della corte di Cassazione Gianfranco Ciani che ha appena promosso un’azione disciplinare contro lo stesso Di Matteo.

La vicenda

Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha risposto a un’interrogazione parlamentare dell’Italia dei Valori che le chiedeva quali iniziative intendesse assumere riguardo al comportamento di Ciani nella vicenda delle indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. L’interrogazione dell’Idv chiedeva alla Severino se corrispondesse al vero che Ciani, in un incontro risalente ad aprile dello scorso anno, avesse chiesto all’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso di “dare un indirizzo” o addirittura di avocare le indagini sulla trattativa e di valutare se ci fossero eventuali profili di responsabilità disciplinare. Il ministro riferisce che l’incontro, come evidenziato da Ciani, ”si inserisce nel quadro della generale funzione di sorveglianza che il procuratore generale della Corte di Cassazione ha l’obbligo, per legge, di esercitare sul procuratore nazionale e sulla relativa direzione, nell’ambito dell’attività di coordinamento investigativo”. Per questo, secondo la guardasigilli, la funzione esercitata da Ciani si è mossa ”sotto l’egida della legge e nel suo rigoroso rispetto e applicazione” e “le iniziative di volta in volta assunte dal Pg si inquadrano in una corretta linea di condotta”.

La tesi di Travaglio

Nel suo articolo di oggi Travaglio smonta la difesa di Ciani fatta dalla Severino e chiama in causa il suo ultimo “bersaglio” Pietro Grasso affinché smentisca la versione del ministro. In quel caso, secondo Travaglio, l’allora procuratore nazionale antimafia si comportò correttamente respingendo “le due proposte indecenti (di Ciani, ndr), spiegando di non avere poteri di avocazione né di indirizzo e, quanto al coordinamento, esso era già assicurato dal Csm con un protocollo del 28 aprile 2011 sempre rispettato dalle due Procure”.

Il silenzio su Di Matteo

Ma quello che sta più a cuore al vicedirettore del Fatto è che si spezzi il silenzio su Di Matteo, sottoposto a procedimento disciplinare del Csm per una presunta violazione del dovere di riservatezza, avendo confermato in un’intervista l’esistenza delle intercettazioni tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano. “Qualcuno si decida a dire due parole su Di Matteo che rischia la pelle a Palermo proprio per quelle indagini così popolari nel Palazzo. Ma forse l’elogio del ministro al Pg che ha trascinato Di Matteo dinanzi al Csm basta e avanza a farci capire da che parte sta lo Stato: dalla solita”, conclude Travaglio.

Il Travaglio della Severino

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