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La sera del 28 aprile, nella magnifica “Sala Accademica” di Via dei Greci (sede storica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia) nell’ambito del programma di concerti dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, è stata presentata la versione integrale dell’Histoire du Soldat di Igor Stravinskij.

Il compositore, sempre profondamente anti-comunista, aveva lasciato la Russia alle prime avvisaglie della rivoluzione sovietica ma proprio cento anni fa aveva portato in Francia la musica tradizionale russa con quel Le Sacre du Primtemps che causò notevole scalpore a Parigi ma trionfò a Montecarlo, prima, e nel resto d’Europa, poi.

Con la prima guerra mondiale su suolo francese, emigrò povero in canna in Svizzera dove composti lavoro proprio allo scopo di girare per città e villaggi a costi bassissimi: comporta un attore – voce recitanti (nelle versioni più elaborate – ne ricordo una alla Piccola Scala nel 1980 ed uno all’Orchestra Sinfonica di Roma nel 2011- vengono utilizzate marionette) ed un ensemble di sette strumentisti (violino, tromba, clarinetto, fagotto, trombone, percussioni, contrabbasso). E’ una micro-opera. Verso schemi simili andò Britten dopo la seconda guerra mondiale a ragione delle sempre maggiori difficoltà di allestimento di opere tradizioni che il compositore preconizzava a causa delle crescenti restrizioni economiche e dell’aumento di offerta in altri settori (cinema, televisione, viaggi).

Oggi alcuni compositori italiani e stranieri stanno tornando verso “opere da camera” e “micro-opere”. L’ Histoire è, quindi, lavoro che apre un solco nel “Novecento storico”: l’abbandono delle opere post-romantiche e veriste con enormi organici ed il ritorno all’opera da salotto della Camerata Bardi. Il musicologo Giovanni Gavazzeni ricorda un altro aspetto importante de l’ Histoire: è il lavoro con cui Stravinskij effettua una sbalorditiva virata al periodo russo alla poetica neoclassica sino ad approdare in vecchiaia alla dodecafonia in un’operina per la televisione finanziata da una casa di dentifrici.

La trama è di un’innocenza al limite dell’ingenuo ma i versi di Charlez Ramuz messi in musica da Stravinskij ne fanno un’ironica ma profonda considerazione sulla condizione umana. Oppure una parabola: il diavolo, subdolo ed ingannatore che promette ricchezza e felicità al povero soldatino, viene da quest’ultimo sconfitto. E’ anti-comunista perché il diavolo è – lo ha detto lo stesso compositore – il Soviet che tutto promette e nulla dà. Attenzione pochi sanno che Stravinskij, morto nella propria villa vicina a New York, chiese di essere sepolto in Italia per (lo è nel cimitero di Venezia) e che, nonostante la sua avversione al comunismo, era assolutamente apolitico, come rivela un’intervista data in Francia, durante il Fronte Popolare, in cui dice di “aborrire” la sinistra, “detestare” la destra e che il centro gli “fa semplicemente schifo”.

L’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma ha presentato un’edizione senza inutili abbellimenti, come fecero una decina di anni fa sia lo stesso Teatro dell’Opera in un’edizione scenica al Teatro Nazionale sia il Roma-Europa Festival al Teatro India.

Beppe Barra era la voce recitante che interpretava con sagacia i vari ruoli . Efficace l’ensemble anche se il direttore Carlo Donadio avrebbe dovuto curare di più gli impasti (a volte gli ottoni predicavano sugli altri) e fare attenzione di non coprire la voce di Barra. Bravi i solisti, soprattutto Vincenzo Bolognese al violino, Massimo Ceccarelli al contrabbasso Rocco Luigi Bitondo alla batteria ed i legni (Angelo De Angelis , Eliseo Smordoni) . Un po’ troppo bandistici gli ottoni (Davide Simoncini e Angelo De Angelis).

Il soldatino anti-comunista di Igor Stravnskij

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