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Ha ragione Romano Prodi: votare a Bologna per il quesito B nel referendum sulla scuola d’infanzia di domenica prossima è una questione di buon senso.

E’ infatti totalmente insensato gettare la spada di Brenno dell’ideologia su un sistema integrato che tiene insieme scuole paritarie comunali e a gestione privata, tutte obbligate ad assicurare, insieme alla scuola statale, i medesimi standard didattici, assistenziali ed organizzativi a quasi novemila bambine e bambini, in età tra i 3 e i 6 anni, che rappresentano la quasi totalità degli aventi diritto.

L’Amministrazione comunale bolognese è in grado, da ormai vent’anni, di fornire alle famiglie un servizio pluralista e, tutto sommato, efficiente, grazie all’erogazione di un milione di euro all’anno, un ammontare corrispondente al 2,9% delle risorse destinate alla scuola d’infanzia e allo 0,8% dell’intero bilancio comunale.

Ma questi dati sono stati resi noti nell’ultima battaglia per la “secchia rapita” che si combatte all’ombra delle due torri. I sostenitori del quesito B (quello che intende preservare il modello vigente) lo hanno diffuso in tutti i modi possibili senza ricevere smentite e senza avere il piacere di misurarsi con argomenti solidi e documentati da parte dello schieramento opposto che sostengono il quesito A rivolto a sopprimere il contributo erogato dal Comune alle scuole a gestione privata, pur se inserite nel sistema integrato.

L’Amministrazione comunale, con in testa il sindaco Virginio Merola, si è schierata contro il quesito soppressivo, nella consapevolezza di non essere in condizione di garantire, con le sole strutture comunali e con il classico milione del signor Bonaventura, il medesimo livello di assistenza, se entrasse in crisi la componente delle istituzioni a gestione privata. Perché, allora, i bolognesi sono chiamati a pronunciarsi in un referendum consultivo, di cui non si sentiva il bisogno e non si comprende l’utilità?

La risposta è semplice: Bologna è divenuta il laboratorio delle prove di intesa tra il Sel e il M5s per lanciare una sfida al Pd e un’Opa sulla sua base in crisi d’identità. Che cosa c’entrano con il destino della scuola d’infanzia bolognese Stefano Rodotà (la nuova Madonna pellegrina del radicalismo di sinistra), Margherita Hack, Gino Strada, Stefano Bonaga, Maurizio Landini, Neri Marcorè, Nichi Vendola, Angelo Guglielmi e tanti altri che hanno saputo ripetere come un disco rotto i soliti slogan sui “beni comuni”?

Sabato scorso, una signora bolognese, sostenitrice del quesito A, è salita persino sul palco della Fiom durante la manifestazione di Piazza S. Giovanni, come se il referendum sulla scuola d’infanzia paritaria fosse un nuovo Palazzo d’ Inverno da prendere d’assalto dall’ala dura e pura del movimento sindacale. I bolognesi di una volta avrebbero risolto il problema con una bella e sonora risata.

Ora è necessario che vadano a votare per il quesito B.

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