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Nel Parlamento degli studenti fuori corso, dei disoccupati organizzati, assistiti dalla Agenzia del lavoro Casaleggio&Grillo, degli onanisti del web e dei peracottari della società civile, se un cittadino deputato o senatore vuole presentare un disegno di legge, magari sugli alamari della banda d’Affori, deve fare attenzione a non suscitare in qualche collega dello schieramento alleato, ma antagonista, il sospetto che in realtà si intenda favorire il Cavaliere o, di converso se mai il presentatore appartenesse al Pd, facilitarne la ineleggibilità.

E’ bastato che un gruppo di peones del Pdl recuperasse dalle macerie della XVI legislatura un progetto di legge sulle intercettazioni telefoniche (un tema che non sarà una priorità, che non farà parte del programma di governo, ma che ha trovato spazio persino nel documento dei saggi-facilitatori del Quirinale e che, comunque, costituisce uno scandaloso e inaccettabile strumento di lotta politica) per dare corso a fitte polemiche all’interno di una maggioranza tanto cagionevole di salute da somigliare al personaggio di Violetta nella Traviata.

Compagna tacitato
Ieri è scoppiato il caso del disegno di legge presentato dal senatore del Gal, Luigi Compagna, che si proponeva di ridurre la pena prevista per un reato che non dovrebbe esistere (perché di esso non vi è traccia nel codice penale) come il concorso esterno in associazione mafiosa. Ovviamente si è scatenato l’inferno nonostante che il testo fosse poco più che una testimonianza personale di amicizia nei confronti di Nicola Consentino, da settanta giorni associato alle patrie galere senza che si sappia il perché. Così, all’incauto presentatore è stato chiesto di ritirare il disegno di legge nonostante che fosse destinato all’oblio: di certe cose non si può neppure parlare. Che tempi!

Alcuni fatti inaccettabili
Nei giorni scorsi mi sono recato, dopo mesi, alla Camera soltanto per consegnare dei documenti; là mi sono imbattuto nell’ex ministro, Francesco Nitto Palma, con il quale non avevo e non ho una particolare confidenza. Eppure, ha voluto farmi partecipe della sua storia, ancora più stupito che sconvolto di essere stato ritenuto “impresentabile” da un ex pm (e quindi suo ex collega) approdato a Palazzo Madama, le cui sembianze (il paragone è mio) ne fanno un sosia di Gastone Paperone.

Il fattaccio di Brescia
E che cosa dire della giornata bresciana di ordinaria follia quando si è consumata l’aggressione a una pacifica manifestazione del Pdl? Se ne è scritto e parlato a lungo. E’ sfuggito, però, un fatto particolare, a mio avviso, ancor più vomitevole ed inaccettabile delle urla e delle violenze degli squadristi di Sel e del M5s. Lo ha raccontato al Foglio, il 14 maggio scorso, Alfredo Bazoli, deputato democrat, perbene: “Sono passato davanti alla stele che ricorda i caduti di piazza della Loggia….dove alcuni militanti del Pd mi hanno fermato spiegandomi che erano lì per impedire ai dirigenti del Pdl di avvicinarsi a rendere omaggio, poiché la consideravano una provocazione”.

La legge del contrappasso
Poi, è arrivata la legge del contrappasso: una iniziativa legislativa del Pd sulla cosiddetta riforma dei partiti è stata infilzata dai quotidiani, è rimbalzata sugli schermi televisivi, sui blog e su ogni altra possibile diavoleria della moderna comunicazione. Nel mirino sono finiti  due pezzi grossi di Largo del Nazareno, Luigi Zanda (sì, quello sempre accigliato con i capelli tosati all’Umberto, pronto a votare per la ineleggibilità di Berlusconi) e Anna Finocchiaro, ambedue accusati di voler espungere il M5s dallo scenario politico, impedendogli di partecipare alle elezioni non essendo un partito. Nulla di più inesatto; ma il Circo Barnum mediatico si è già messo in moto in quella direzione e non accetta chiarimenti e smentite. Bisogna valorizzare la notizia e dare spazio agli sproloqui dell’ex comico sulle pubbliche piazze.

I fini di Zanda e Finocchiaro
In realtà, il ddl Zanda-Finocchiaro non è altro che un trascinamento della passata legislatura, quando i partiti (soprattutto il Pd che aveva contratto il virus) tentavano di rifarsi una verginità sotto l’incalzare dell’antipolitica mettendo tutto in trasparenza. Così, durante il governo Monti si è votata una legge anticorruzione con aspetti liberticidi, si è demolito il finanziamento pubblico dei partiti, si è approvata una legge cretina sull’abolizione delle province (per fortuna non si è fatto a tempo a varare il nuovo assetto territoriale che avrebbe fatto strame di secoli di geografia).

La riforma dei partiti
Basti pensare che nella mia ex provincia (Bologna) con l’istituzione della città metropolitana, il sindaco del capoluogo presiederà un’assemblea composta da una sessantina di sindaci degli altri Comuni, di cui solo 2 non appartenenti al Pd e alla sinistra. Neanche nell’Urss vi erano situazioni analoghe. Come se non bastasse in quell’areopago di cervelli pensanti è cominciata a circolare l’idea che fosse indispensabile dare attuazione all’articolo 49 Cost. che, a dire dei costituzionalisti de noantri, prevede la riforma dei partiti. Per fortuna sul Corriere della Sera di ieri un presidente emerito della Consulta, Piero Alberto Capotosti, ha spiegato che ai Padri costituenti (O gran bontà dei cavalieri antichi!) non era neppure passata per la mente che si dovessero regolamentare i partiti. Anzi, l’articolo 49 venne scritto proprio per evitare che ai partiti qualcuno andasse a rompere le scatole.

Che senso ha allora parlare di personalità giuridica, di collegi dei sindaci, di regole interne fissate per legge? I partiti sono accusati di essersi impadroniti dello Stato. Evitiamo per favore che sia lo Stato ad impadronirsi dei partiti. Se poi, davvero, qualcuno volesse sfrattare dal Parlamento i “grillini” non ci vorrebbero leggi discutibili e complicate: basterebbe introdurre come nell’800 la prova di scrittura e di lettura.

Leggi anti Berlusconi e Grillo? No, grazie

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