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Non so se l’intenzione degli organizzatori fosse stata quella di rincuorare coloro che seguono gli affari europei a proposito dei progressi dell’unione monetaria (nonostante le elezioni ed i sondaggi nei principali Paesi dell’eurozona indichino un aumento dell’euroscetticismo e dell’europerplessità).

Tuttavia, gran parte di coloro che la mattina del 5 marzo hanno partecipato al seminario dell’Istituto Affari Internazionali Verso l’Unione Bancaria Europea: Sfide e Prospettive, sono rimasti con una duplice impressione: così come stanno le cose, ove l’unione bancaria europea nascesse, sarebbe monca e zoppa; ove si restasse al punto dove si è (ossia in mezzo al guado), le maggiori banche europee continuerebbero a trovarsi in una ragnatela di sistemi e meccanismi di vigilanza nazionali (dell’eurozona se, come è prassi della banche di grandi dimensioni operano in vari Paesi). Il seminario è stato introdotto da Lorenzo Bini Smaghi (a lungo componente dell’esecutivo della Banca centrale europea) ed hanno presentato relazioni Ignazio Angeloni (Bce), Stefano Micossi (Assonime), e Flavio Valeri (Deutsche Bank, Italia).

Il ruolo della Bce

In effetti, l’unione bancaria rischia di nascere non come uno sgabello a tre gambe (come la concepirono i “padri fondatori” e come avrebbe potuto tenersi in piedi), ma come uno strapuntino con una gamba sola e non è grado quindi di reggere. Facciamo un passo indietro. Durante il negoziato che portò al Trattato di Maastricht, si scontrarono due scuole di pensiero: secondo la prima (che allora prevalse), la Bce avrebbe dovuto essere unicamente il coordinatore del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) e non avrebbe dovuto in alcun modo interferire con la funzione di vigilanza (anche in quanto tale funzione è organizzata in modo differenti nei vari Stati); secondo un’altra, avrebbe dovuto essere modellata sulla Bundesbank (che tali compiti li ha, eccome). Veniva lasciato un pertugio in un codicillo: se necessario, il Consiglio Europeo avrebbe potuto ‘dare incarico alla Bce’ di svolgere ‘alcune funzioni di vigilanza prudenziale’. Quindi, un’eventualità in delega ed in deroga per alcuni casi od eventi specifici.

La funzione di vigilanza secondo la Commissione

La crisi finanziaria ha mostrato un’unione monetaria, per lo meno, traballante sin dai suoi primi accenni (i tremori del sistema bancario irlandese). Ci si è, quindi, rivolti alla Commissione Europea che ha redatto un progetto organico complessivo: a) funzioni di vigilanza secondo un meccanismo di vigilanza unico; b) un’intesa di sistema perché le banche europee predispongano strategie ed azioni comuni nei confronti di istituti in difficoltà; c) l’‘armonizzazione’ dei sistemi di garanzia dei depositi.

La tempistica sull’accordo

Al seminario è apparso evidente che mentre sul primo punto si sta facendo strada, in gran misura, in seguito a una decisione del Consiglio Europeo del 13 dicembre scorso (su cui ha influito il ‘caso Monte dei Paschi’ scoppiato in quei giorni), le altre due gambe sembrano accantonate. Le stime sarebbero di giungere a un accordo (non facile nonostante ci si proponga effetti limitati) entro la prossima estate perché la ‘nuova vigilanza’ sia in funzione nel 2014-2015. Come potrebbe operare se non un sistema un sistema di azioni comuni nei confronti di istituti in difficoltà temporanee (e risolvibili) e senza una condivisione, ben più pregnante di un’’armonizzazione’ delle garanzie sui depositi. Anche a ragione della poca consistenza del Meccanismo Europeo di Stabilità, Mes (in gergo il Fondo Salvastati), si finirebbe, piuttosto presto, a pesare sui contribuenti tramite frequenti aumenti del Mes a carico dei Tesori dei singoli Stati dell’Unione.

La fattibilità del Mes

E’ fattibile in questo clima? La domanda si pone anche in quanto si parla di una nuova Autorità Europea con un proprio Presidente, un Vice Presidente di emanazione Bce ed un Consiglio di una ventina di componenti nonché un organico di almeno 600 dipendenti. Oltre che monca e zoppa sarebbe pletorica.

Perché l'Unione bancaria rischia di nascere zoppa

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