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“Non ho nulla da rimproverare” al segretario Bersani, dice la deputata del Pd Alessandra Moretti, “semmai avrei qualcosa da dire a chi gli stava più vicino”. Anche perché l’epurazione per i cosiddetti dissidenti che non dovessero votare la fiducia al governo non sarebbe la soluzione al dramma dei franchi tiratori che hanno impallinato Prodi. Ecco la conversazione di Formiche.net con Moretti, fino a qualche giorno fa considerata bersaniana di ferro e poi bersaniana fredda dopo le mosse del segretario dimissionario del Pd in occasione dell’elezione del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale.

Un governo non si giudica da come nasce, dice il saggio pidiellino Gaetano Quagliariello, ma da quello che ha lasciato alla fine. Il governo Letta quanto in comune avrà con i tecnici di Monti?

Credo e spero poco, nel senso che vorrei un governo in grado di dare risposte efficaci ai problemi veri che gli italiani stanno vivendo ormai da troppo tempo.

L’accordo che Letta sta cercando è più un’opportunità o una sciagura?

E’ un tentativo di accordo a questo punto doveroso, dettato da un grande senso di responsabilità, tenuto conto che purtroppo la volontà di costituire un governo di cambiamento è fallito a causa di un’opposizione così pregiudiziale da parte dei grillini. Come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica, ora siamo chiamati a dare un governo all’Italia, perché ormai il tempo è scaduto. 

Come si concilieranno nel governo posizioni agli antipodi su giustizia, welfare, istruzione?

Il punto di sintesi andrà cercato giorno per giorno, valutando anche il tipo di atteggiamento che avrà il Pdl. Decideremo di volta in volta e saremo chiamati a batterci in commissione affinché valori e principi del Pd siano affermati con forza. 

Civati e altri dissidenti sulla fiducia annunciano il loro “no”: sono già fuori dal partito?

Sono contraria a forme di epurazione, anche per via della cultura del nostro partito. Credo che invece noi dovremmo saper confrontarci, rispettando le forme di critica e di dissenso. Il Pd è un grande partito, perché sa coniugare al suo interno posizioni diverse che, attraverso un confronto leale, sanno trovare un punto di convergenza. 

Ma il rischio per il Pd, oltre che di secessione, non è anche di scollamento con la base che non gradisce il governissimo?

In questi giorni abbiamo attraversato momenti molto duri, perché evidentemente per mesi e durante la campagna elettorale eravamo tutti convinti che servisse un governo di cambiamento. Non essendoci state le condizioni politiche per farlo si è verificata anche una frattura al nostro interno, causata dai cento franchi tiratori che sul nome di Prodi hanno vergognosamente voltato le spalle al fondatore dell’Ulivo. Per cui nel partito c’è un forte dibattito che riguarda ovviamente anche la base e uno scollamento che saremo chiamati a ricucire solo attraverso una presenza assidua sui territori, con momento di incontro e confronto.

Dove ha sbagliato Bersani?

L’ho sostenuto in modo convinto, credo abbia fatto tutto il possibile per arrivare all’obiettivo. E’ stato un grande segretario e ha dato moltissimo al partito, attivando un profondo rinnovamento al suo interno. Le condizioni politiche in cui si è trovato ad agire erano molto complesse anche rispetto a quelle attuali: non c’era infatti un Capo dello Stato con pieni poteri. Non ho nulla da rimproverargli, semmai avrei qualcosa da dire a chi gli stava più vicino, per assumere decisioni che avrebbero determinato altre conseguenze. 

Come ad esempio l’appoggio a Rodotà?

Non mi riferivo a quello, solo prendersi più tempo e condividere analisi e decisioni anche coinvolgendo il gruppo parlamentare. Il punto è che non possiamo pregiudicare l’unità e la tenuta del Pd, anche per rispetto ai milioni di elettori che hanno sottoscritto la carta degli intenti. E quindi bisognava riflettere maggiormente. Un conto è chi ha espresso dubbi sul metodo in modo critico ma apertamente, altro la gravità dell’atteggiamento su Prodi dopo che il suo nome era stato approvato all’unanimità. Anche se qualcuno oggi tenta di mettere entrambi gli atteggiamenti nel medesimo calderone, io credo che siano radicalmente diversi. Su Prodi si sono consumate antiche divisioni e rancori.

Per il 4 maggio qualcuno ipotizza un blitz per far succedere Renzi a Bersani: quanto conteranno i sì già pronunciati da veltroniani e dalemiani?

Mi piacerebbe che per la scelta del segretario ci fosse la massima condivisione sul nome, anche perché avrà dinanzi a sé tempi difficili. E’ bene metterlo nelle migliori condizioni di operare. 

Più Renzi o più Barca?

Non solo. Io direi anche Orfini, Civati, Fassina. Serve un rinnovamento totale.

twitter@FDepalo

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