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Ancora una volta il vertice della Banca asiatica per lo sviluppo spetta a un giapponese, come da tradizione. Il nuovo presidente dell’istituto con sede a Manila è Takehiko Nakao,57 anni. Prende il posto di Haruhiko Kuroda nominato lo scorso marzo governatore della banca centrale nipponica e pedina della Abenomics, la politica economica del primo ministro Shinzo Abe che punta sull’iniezione di moneta nel sistema per rivitalizzare il Sol Levante e fissare l’inflazione al 2 per cento.

Nel manuale Cencelli della finanza globale la Banca asiatica per lo sviluppo è da sempre un feudo di Tokyo, come il Fondo monetario lo è degli europei e la Banca mondiale degli statunitensi, nonostante i tentativi delle potenze emergenti di ritagliarsi un ruolo di maggior spicco, Cina in testa.

Nakao porta nell’organizzazione l’esperienza come vice ministro delle Finanze nipponiche con delega alle relazioni internazionali. “La sua esperienza nella finanza internazionale e nello sviluppo e la profonda conoscenza dell’Asia serviranno all’istituto per proseguire nela visione di liberare la regione della povertà”, ha detto P. Chidambaram, presidente del Board of Governors dell’Adb.

La nomina non ha avuto ostacoli: Nakao era l’unico candidato, sebbene nelle settimane precedenti la chiusura della lista dei papabili siano spuntati i nomi di possibili pretendenti cinesi alla poltrona.

La Repubblica popolare, seconda economia al mondo, è il terzo Paese per contributi all’istituto di Manila, ma è anche tra i maggiori beneficiari. Funzionari come Jin Liqun ora presidente del board dei revisori del fondo sovrano cinese, o Zhao Xiaoyu hanno inoltre già ricoperto in passato il ruolo di vice-presidenti dell’organismo.

All’inizio di aprile il South China Morning Post sottolineava come tuttavia Pechino si sarebbe probabilmente tirata indietro, come avvenuto, da una corsa in cui la vittoria non era certa.

La candidatura cinese sarebbe inoltre arrivata in un periodo di forte attrito con Tokyo per le dispute territoriali attorno alle isole Senakaku-Diaoyu, come sono chiamate rispettivamente da giapponesi e cinesi. Inoltre per avere la presidenza serve più del 50 per cento dei voti e le relazioni complicate di Pechino con molti dei Paesi membri rischiava di trasformare la candidatura in un gioco a perdere.

Negli stessi giorni in cui si andava a formalizzare la candidatura unica di Nakao, a Durban le potenze economiche emergenti – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica- hanno gettato le basi per un banca dei Brics, fortunato acronomio che unisce le loro iniziali, alternativa alle organizzazioni internazionali già esistenti e che nell’ottica dei cinque non riflettono più il nuovo sistema globale. Molto del progetto è ancora da definire, dalla divisione della carica a quando ognuno dei Brics dovrà sborsare per il capitale base di 50 miliardi di dollari.

Che per la Banca asiatica per lo sviluppo possa esserci una perdita d’influenza lo sottolinea la smentita dello stesso Chidambaram, a Durban nel ruolo di ministro delle Finanze indiano. “La Banca dei Brics non sarà un concorrente della Banca Mondiale o dell’Adb, ma complementare a esse”, ha tenuto a precisare.

L'Asian Development Bank resta al Giappone

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