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Sono monete che scottano quelle della guerra valutaria che sta prendendo piede tra Europa, Asia ed America. E al Vecchio Continente l’armatura sembra impedire ogni movimento o ogni difesa.

Il Giappone, il cui premier Shinzo Abe ha deciso una forte svalutazione dello yen, non vede perché l’Occidente debba lamentarsi. Peccato se l’obiettivo e la strategia del Giappone stavolta non siano sovrapponibili con quelli europei anzi, siano l’esatto opposto. L’obiettivo di Tokyo ora è solo uno: combattere la deflazione per salvarsi dalla crisi. La svalutazione dello yen sembra essere un buon compromesso e le preoccupazioni dei leader occidentali, specialmente della cancelliera tedesca Angela Merkel, in merito alla manipolazione dei cambi per le pressioni del governo di Shinzo Abe sulla Bank of Japan, Tokyo le rispedisce ai mittenti.

ll ministro delle Finanze nipponico, Taro Aso, ha contrattaccato: “Nessuno ha detto nulla quando dollaro ed euro sono stati spinti verso il basso: non ha senso per Usa ed Europa – ha detto Aso – lamentarsi quando le rispettive monete hanno recuperato solo 10 o 15 yen” contro la divisa nipponica. La priorità “è tirar fuori l’economia alla spirale deflazionistica”.

Ma l’Abenomics fa paura. Specialmente a chi si oppone con più fermezza a una politica monetaria accomodante e guida un Paese, come la Germania, che vive di export.

“E l’euro?”, si chiede Carlo De Benedetti sul Sole 24 Ore. “E’ restato alla finestra senza possibilità di reazione. Un guscio di noce in balia delle onde. Fino al paradosso che, pur essendo la moneta dell’area economicamente più debole, l’Europa, si è apprezzato rispetto ai minimi del 10% sul dollaro, del 25% sullo yen e dell’8% sulla sterlina”.

La zona euro, a differenza della strategia di allentamento monetario impressa negli Usa dal governatore della Fed Ben Bernanke, è bloccata dalle sue stesse regole di funzionamento. “La Germania fa bene, perciò, a guardare con preoccupazione all’offensiva giapponese. Le sue esportazioni sono destinate ad aumentare quest’anno solo del 2,8% contro il 4,1% del 2012 e l’euro forte non potrà che peggiorare la tendenza. Ma si illude se pensa di potervi far fronte attraverso la politica multilaterale del G20”, prosegue.

“Quando una guerra è in corso non conta il peso del tuo passato, contano le armi che sai mettere in campo. Un’Europa senza un Tesoro unico, divisa sulle politiche da adottare, dove continua a prevalere il dogma tedesco per una competitività fondata solo sulle riforme strutturali e dove le regole statutarie impediscono di avvalersi degli strumenti tipici di una Banca centrale, è destinata a perderla quella guerra. Forse a non combatterla neppure. A meno che, sotto il fuoco del nemico, non prenda coscienza che è venuto il momento (davvero) di cambiare. Ma il solo pensarlo è forse un peccato di ottimismo”, conclude De Benedetti sul Sole 24 Ore.

 

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