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Pubblichiamo un articolo del dossier “La prima volta di John Kerry a Roma da segretario di Stato” di Affari Internazionali.

“Lanceremo i negoziati per un partenariato commerciale e degli investimenti con l’Unione Europea perché il commercio equo e libero attraverso l’Atlantico sostiene milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti”. Con questo rapido annuncio fatto durante il discorso sullo Stato dell’Unione del 12 febbraio, il presidente Barack Obama ha iniettato una dose di fiducia sul futuro della cooperazione transatlantica.

Compare quindi una “nuova agenda” che correggerebbe la rotta con la quale, nel 2011, gli Stati Uniti sembravano aver svoltato verso il Pacifico. Dopo aver investito – alcuni sostengono dissipato – la maggior parte delle energie del primo mandato nel dialogo con i paesi emergenti, il viaggio in Europa iniziato il 26 febbraio dal segretario di Stato John Kerry sembra essere il segnale che l’amministrazione Obama ha finalmente preso seriamente il vecchio continente.

Accordo commerciale transatlantico
Ma siamo davvero alle prese con un “ritorno dell’Atlantico” o gli europei e gli atlantisti d’oltreoceano dovranno ricredersi? La verità sta nel mezzo. Il progetto di un grande mercato transatlantico integrato – Transatlantic Trade and Investment Partnership, (Ttip) – promette di ridare slancio alla cooperazione tra Stati Uniti ed Europa a patto che se ne comprendano a fondo le motivazioni nazionali e se ne apprezzi il suo significato più ampio. È quindi necessario vedere il Ttip come un tassello importante di una strategia globale che continua a preparare gli Stati Uniti al “secolo del Pacifico”, senza trascurare tuttavia il ruolo che l’Atlantico potrebbe continuare a giocare.

Da un punto di vista utilitaristico, gli europei dovrebbero riconoscere la posta in gioco e i rischi legati ad un possibile fiasco dei negoziati. Con il protrarsi della crisi dell’Eurozona e l’acutizzarsi della disoccupazione e della stagnazione, il Ttip si presenta come uno stimolo economico quasi salvifico. Senza compromettere l’obiettivo della riduzione del debito, attraverso i presunti effetti espansivi della liberalizzazione, questo trattato promette infatti una crescita del prodotto interno lordo e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Visti i possibili effetti depressivi dei tagli previsti al bilancio federale e l’aumento della tassazione sul reddito, un accordo di libero scambio avrebbe un effetto positivo anche sull’economia di Washington. Per una serie di fattori che non hanno equivalenti in Europa e che vanno dal basso costo dell’energia a una ripresa della produzione industriale, tuttavia, le prospettive di crescita statunitensi sono comparativamente migliori di quelle del vecchio continente. Questo ha reso meno cogente il progetto del Ttip su cui l’amministrazione aveva tentennato negli ultimi mesi fino all’annuncio di Obama.

Inoltre, il presidente statunitense conosce le possibili resistenze che un accordo commerciale potrebbe trovare nel Congresso, davanti ai rappresentanti sensibili ad interessi sindacali e industriali che si sono scoperti vulnerabili di fronte ai processi di globalizzazione. Il Congresso non è, nel complesso, contrario al progetto, ma potrebbe irrigidirsi di fronte a segnali europei di divisione o davanti alla tentazione di alcuni membri dell’Unione europea di considerare off limits aree critiche come quella dell’agricoltura.

Il vecchio continente deve quindi considerare il costo, in termini di benefici economici e di credibilità, di un prolungamento dei negoziati oltre i due anni che lascerebbe il Ttip in preda alla campagna elettorale per le votazioni di metà mandato.

Valenza internazionale del Ttip
Il secondo punto critico è la valenza internazionale del Ttip. Se si trasformasse in uno strumento di rinnovata leadership transatlantica, il trattato potrebbe infatti funzionare da moltiplicatore. Se si presenterà invece come un disperato tentativo delle economie occidentali di chiudersi in se stesse, volgendo le spalle alle realtà emergenti e mettendo a repentaglio il futuro del sistema multilaterale, creerà soprattutto problemi.

L’ambizione dei fautori del Ttip, soprattutto negli Stati Uniti, è quella di usare il trattato per fissare nuovi obiettivi e standard commerciali da condividere in seguito con altri soggetti. Rafforzando un nucleo di partenza, si potrebbe mettere al riparo il più ampio sistema internazionale liberale il cui futuro non può più essere dato per scontato.

Per questo motivo, gli europei la dovranno avvallare l’idea di un regionalismo aperto, visto che l’amministrazione Obama non vede il Ttip in alternativa o in competizione con l’iniziativa della Trans Pacific Partnership che coinvolge i paesi che condividono nello spazio asiatico l’obiettivo del libero commercio e la preoccupazione che una preponderanza cinese finisca per limitarlo.

L’orientamento europeo potrebbe essere duplice. Lavorare affinché gli Stati Uniti avvicinino allo stesso progetto l’America Latina e usare il Ttip per attivare una nuova strategia transatlantica per l’Asia, di cui al momento non vi è traccia. L’idea di un “Atlantic basin” comprendente tutto il continente americano e la sponda occidentale dell’Africa, versione aggiornata di una comunità atlantica nell’era della globalizzazione, ha già i suoi sostenitori nel vecchio continente. Tra questi si trova l’Italia che negli ultimi mesi ha condotto iniziative in questa direzione.

Ribadire al segretario di Stato Kerry la condivisione di un’idea di Atlantico che si apre sia alle sue diverse componenti interne sia al resto del mondo, potrà quindi rassicurare e stimolare gli Stati Uniti a riguardare con interesse alla sponda atlantica, non per un ritorno al passato, ma per compiere passi in avanti.

Emiliano Alessandri è Senior Transatlantic Fellow presso il German Marshall Fund of the US di Washington DC.

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