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La settimana scorsa L’Economist ha pubblicato un articolo sulla situazione globale del mercato immobiliare che ci dice alcune cose rilevanti. Per quel che ci riguarda, il settimanale inglese ha calcolato che il “price to income”, ossia lo squilibrio fra il livello generali dei prezzi immobiliari nel nostro paese e quello del reddito quota 12. Vuol dire che c’è un disequilibrio del 12%, quindi i prezzi dovrebbero in media scendere altrettanto per allinearsi al potere d’acquisto degli italiani.

L’indicatore evidenza un dato che si può leggere da due diversi punti di vista: da un lato misura la crescita eccessiva del livello dei corsi immobiliari, dall’altro il decremento reale del reddito, calato costantemente negli ultimi anni per arrivare, secondo le stime più recenti, al livello del 1986. Il combinato disposto porta a una considerazione inquietante: i prezzi in Italia caleranno ancora, complice una situazione creditizia ancora tesa.

Per capire quali siano le cifre in gioco, basta ricordare che secondo l’ultimo rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane, le attività reali nel nostro paese pesano 5.978 miliardi, di cui circa l’84% (5.021 miliardi) sono rappresentati dalle abitazioni. Se davvero i prezzi si allineassero ai redditi reali disponibili, si brucerebbe una ricchezza pari a 602 miliardi. Questo solo per le famiglie. Pensate a cosa accadrebbe ai patrimoni delle istituzioni finanziarie (banche, assicurazione, fondi pensione).

Quanto è probabile questo scenario? Prima di rispondere a questa domanda, dovremmo chiederci come siamo arrivati fino a questo punto.

Una prima risposta la troviamo sulla relazione annuale della Banca d’Italia del 2007, dove viene illustrata la crescita reale dei prezzi delle abitazioni dal 1996 al 2007. Fatto 100 l’indice base (1996) si vede con chiarezza che in Italia i prezzi sono schizzati alle stelle a partire dal 2002 (prima l’indice era fermo su base 100) , quando c’è stato il passaggio lira/euro. Da quel momento in poi l’indice è cresciuto a un ritmo di 10 punti l’anno fino ad arrivare a 150 nel 2007, lo stesso livello degli Stati Uniti. Nello stesso arco di tempo l’indice è arrivato a 260 nel Regno Unito, a 220 in Spagna, poco sotto in Francia. Segno inverso in Giappone e in Germania, dove indice è sceso costantemente fino a quota 70. Quindi qui l’indice dei prezzi è calato in termini reali di circa il 30% in dieci anni.

Se si allunga l’arco di tempo (periodo 1997-2012) e si usa l’indice dei prezzi calcolato dall’Economist, si vede che a fine 2008 l’indice italiano quotava 200 a fronte dei 100 del 1997, sempre sotto Francia (250), Spagna (280) e Gb (310), ma bel al di sopra di Germania (indice fermo a 100) e Giappone (80). Dal 2008 al 2012 i prezzi sono calati dovunque, tranne un leggero apprezzamento in Germania, mentre in Giappone si arriva quasi a 50.

Ancora più illuminante, il confronto, se si fa partire il periodo dal 1975. Fatta 100 la base, l’Italia è seconda solo alla Spagna per incremento dei valori immobiliari. L’indice arriva a quotare 1.750 nel 2008, più o meno al livello della Gran Bretagna (ora siamo intorno a 1.500). La Spagna quell’anno aveva raggiunto quota 4.000 (3000 nel 2012).

Nel lungo periodo, quindi, i prezzi delle abitazioni italiane hanno avuto la crescita più elevata, dopo la Spagna. La bolla italiana, perciò, è di vecchia data. Basti considerare che dal 1975 l’indice americano è passato da 100 ad appena 500, quello francese da 100 a 1.000, quello tedesco da 100 a 250, quello Giappone poco sotto.

Stando così le cose, e stante l’attuale insoddisfacente livello dei redditi, lo sgonfiamento della bolla storica italiana sembra nelle cose.

Senonché abbiamo già visto cosa significherebbe per le famiglie italiane. In pratica un impoverimento generazionale.

Sarà per questo che da qualche tempo i policy maker italiani declinano costantemente la parolina magica “fondo immobiliare” ogni volta che ragionano sulla destinazione dell’enorme patrimonio immobiliare pubblico. Senonché diversi studi mostrano con chiarezza (ne parleremo in un prossimo post) una cosa evidente: l’andamento dei fondi immobiliari, nelle varie forme consentite dalla normativa, è strettamente correlata all’andamento del mercato. I fondi hanno l’unico vantaggio di rendere momentaneamente liquida (o quasi) pezzi di ricchezza letteralmente immobilizzata. E basta. Quindi possono aiutare nel breve, ma non nel medio-lungo, a meno che non cambino le condizioni monetarie e creditizie del Paese e non riparta il mercato.

Insomma, a voler raschiare il barile del mattone si arriva al Fondo. Ma non è detto che basterà.

Il mattone raschia il barile e trova il Fondo

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