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Nell’Europa investita dalla recessione e caduta nel double dip qualcosa si muove. Non è la ripresa economica, ancora lenta e incerta, ma il risorgere di nazionalismi e spinte centrifughe. Al termine di un lungo negoziato, lo scorso 15 ottobre il premier britannico David Cameron e il primo ministro scozzese Alex Salmond hanno annunciato che, entro la fine del 2014, si terrà un referendum sull’indipendenza della Scozia. La formula scelta per il quesito referendario sarà una domanda secca che va dritta al cuore della questione: “Vuoi che la Scozia diventi uno Stato indipendente?”. Il premier scozzese avrebbe preferito due schede: una sull’indipendenza e l’altra per una maggiore devolution. Ma Cameron, forte dei sondaggi che vedono la forbice di favorevoli alla secessione oscillare tra il 27 e il 35 per cento, ha imposto il quesito netto: indipendenza, prendere o lasciare.

La data più probabile per celebrare la consulta è l’autunno 2014. Il caso (o forse il premier Salmond) ha voluto che coincidesse con i settecento anni dalla gloriosa battaglia di Bannockburn che decise le sorti della prima guerra d’indipendenza e aprì la strada all’incoronazione di Robert Bruce a re di Scozia. La monarchia inglese tornò a regnare stabilmente sulla Caledonia solo nel 1603, ma quando nel 1707 i due Paesi cominciarono a condividere anche lo stesso Parlamento, l’annessione al Regno Unito sembrò definitiva. Per ritornare a parlare di Home Rule bisognerà attendere il XIX secolo, quando il quattro volte premier britannico William Ewart Gladstone – inglese di nascita ma scozzese di sangue – si spese per riconoscere gli albori di autonomia amministrativa a Edimburgo.

Ancora non è chiaro che Scozia uscirebbe dalle urne nel caso – oggi improbabile – di una vittoria degli indipendentisti. Fino a pochi mesi fa, gli analisti erano convinti che l’alternativa a Londra fosse una maggiore integrazione con Bruxelles e che la Sterlina potesse essere sostituita dall’Euro. Ma l’annus horribilis della moneta unica sembra avere allontanato Edimburgo dall’orbita dei diciassette e, in una recente intervista, il premier Salmond ha affermato che una Scozia indipendente continuerebbe a utilizzare la moneta di Sua Maestà almeno per qualche anno.

Nonostante le dichiarazioni di Salmond, lo scenario non è affatto semplice: a meno di un improbabile accordo tra i due governi, la Banca d’Inghilterra smetterebbe di essere il prestatore di ultima istanza di Edimburgo e il governo scozzese avrebbe meno capacità di influenza sulla banca centrale di quanto non ne abbiano oggi Atene o Madrid nei confronti della Bce.

Come testimoniano i sondaggi, la strada verso la secessione è tutta in salita. Ma le variabili che potrebbero intervenire sono molteplici e l’esito delle urne dipenderà dalla forza attrattiva che Londra da un lato e Francoforte dall’altro riusciranno a esercitare nei prossimi due anni. In questo contesto, l’esito del referendum è tutt’altro che scontato.

Sintesi di un articolo più ampio che si può leggere qui

Secessione in vista per la Scozia?

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