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La sala del teatro Capranica a Roma, il 21 dicembre, era piena. Anzi, strapiena. Poco prima delle 17.30 sono arrivati alla spicciolata gli Arancioni (il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, quello di Palermo Leoluca Orlando) e diversi leader politici (Antonio Di Pietro dell’Idv, Oliviero Diliberto dei Comunisti italiani, Paolo Ferrero di Rifondazione comunista, Angelo Bonelli dei Verdi).

E poi centinaia di simpatizzanti e curiosi, così tanti che, quando Antonio Ingroia ha iniziato a parlare, gli inservienti chiudono le porte. E un crocchio di persone è rimasto fuori, davanti ai cartelloni che annunciano “Io ci sto”, l’appuntamento che ha segnato il lancio di un Nuovo polo elettorale (e giustizialista) attorno all’ex procuratore aggiunto di Palermo.

“La mia candidatura dipende molto da voi, oltre che da me”, ha affermato l’ex pm. “Io ci sto. Ora aspetto voi, che siate sempre più numerosi a dire ‘Io ci sto'”.

Ingroia ha scaldato la platea quando ha esposto i dieci punti del suo programma: conflitto di interessi, economia e diritto al lavoro, investimenti in ricerca, scuola e università, Costituzione (boato in sala quando cita Benigni). E, ovviamente, giustizia e mafia.

Ha infiammato gli applausi quando ha imbracciato le armi della polemica personale: “A Berlusconi padrone del partito creato per regolare i rapporti con la mafia non rispondo”, “i principali responsabili della situazione attuale sono Berlusconi e Monti”, scandisce.

E il direttore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, che non lo ha sostenuto nell’idea di scendere in politica? “La battaglia della verità va combatuta su più fronti non soltanto in un avamposto giudiziario”.

Poi, indirizzato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “La corte costituzionale ha garantito equilibri politici invece di appurare ciò che la legge dice chiaramente”.

Ingroia ha utilizzato la kermesse del Capranica anche per delineare alleanze e idiosincrasie della sua futura lista elettorale. L’ex pm ha aperto a Pierluigi Bersani e Beppe Grillo.

Il segretario del Pd – ha detto tra applausi meno caldi di prima – è una persona “seria, benintenzionata”. Certo, “delle buone intenzioni sono lastricate le vie per l’inferno”.

E, certo, il programma del Pd non coincide con il suo, soprattutto in economia, soprattutto per quanto riguarda l’appoggio dei democratici al governo Monti. Certo, ci saranno dei paletti. Ma Ingroia con Bersani vuole confrontarsi. E lo stesso vuole fare con Grillo. Qui i paletti sono di altra natura. Il leader dei Cinque stelle “a volte usa toni troppo arrabbiati”. Ma “dobbiamo continuare a rottamare e solo rottamare, solo distruggere, o anche a ricostruire?”.

La risposta, per Ingroia, è scontata. L’ex pm, che ha incassato l’appoggio del fondatore di Emergency Gino Strada, ha chiesto di fare “un passo avanti” a esponenti di spicco della società civile: Maurizio Landini della Fiom e le donne di “Se non ora quando”, i giornalisti Michele Santoro e Sandro Ruotolo, don Luigi Ciotti e Salvatore Borsellino. “Non è un invito a candidarsi, l’invito ad accompagnarci al nostro fianco”, afferma, per poi aggiungere: “Se poi volete candidarvi, ancora meglio”.

Per gli altri partiti, invece, è una doccia fredda. Per fare spazio alla società civile, Ingroia chiede “un passo indietro” ai leader presenti: Diliberto, Ferrero, Bonelli. E Di Pietro.

Passano pochi minuti e iniziano i problemi. Con una nota, Ingroia smentisce “totalmente” la “interpretazione” che gli attribuisce di perseguire la “rottamazione di Di Pietro”. “Quando ho detto che c’è bisogno di fare un passo indietro – ha precisato – mi riferivo al fatto che bisogna mettere ai primi posti le componenti della società civile e che non ci deve essere nessun simbolo di partito”. Ma il passo avanti di Ingroia – ormai è chiaro – coincide col passo indietro di diversi protagonisti della seconda Repubblica.

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