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Le ultime settimane della politica Italiana, dall’esito delle primarie per la leadership del Partito democratico alla salita in politica del Professor Monti stanno portando progressivamente alla luce l’evidente interdipendenza dei destini politici del Pdl di Berlusconi e del Pd bersaniano.

Entrambe le parti affondano infatti le proprie radici nei residui della Prima Repubblica e traggono legittimazione in una politica fatta non di confronto tra programmi ma di contrapposizione tra blocchi di differente matrice ideologica legati al carisma di un leader di riferimento. Se, da un lato, il signore di Arcore ha costruito la sua storia politica sulla conquista del consenso di quella parte del Paese che, per motivi ideologici, spesso portato del panorama politico precedente alla caduta del Muro di Berlino, ha esercitato la scelta elettorale essenzialmente in chiave anti comunista, dall’altro la Sinistra durante tutto il corso della Seconda Repubblica ha trovato la sua ragione di essere nella contrapposizione al nemico impersonificato dall’imprenditore brianzolo.

Come due piatti della medesima bilancia, le due parti, seppur contrapponendosi con apparente durezza, hanno trovato ragione di esistere l’una nell’altra, bloccando la maturazione della politica Italiana che avrebbe comportato la necessaria costituzione di un vero  bipolarismo costituito da un movimento conservatore ed uno riformista, ma dando vita ad una finta alternanza non basata sulla contrapposizione di due visioni differenti di politica e società, ma sulla rotazione delle due facce del medesimo specchio.

Pertanto nel momento in cui il Partito democratico si è trovato nella condizione di cambiare le leggi del gioco, affidando la leadership del partito a Matteo Renzi e alla sua visione di una sinistra riformatrice più simile al Partito laburista in Regno Unito o al Partito democratico negli Usa che alle gioiose macchine da guerra di Occhetto, l’establishment del partito, con il supporto della Cgil, si è opposto perché avrebbe comportato un cambiamento del terreno di battaglia tale da renderlo ostile a chi sulla contrapposizione all’avversario ha basato tutta la propria carriera politica.

Come effetto collaterale, il mantenimento della vocazione anti berlusconiana della sinistra, ha legittimato il ritorno di un Berlusconi, che sarebbe stato considerato leader decotto in un qualsiasi altro ordinamento democratico e che un Pd a guida Renzi avrebbe spazzato via, trovando fondamento elettorale nella contrapposizione a un centro sinistra ancora guidato da Bersani, D’Alema e Bindi.

Ne consegue che la vittoria di Bersani ha mantenuto, consapevolmente perché perfettamente organico a una certa visione di politica, in vita Berlusconi il quale, da parte sua, quando afferma che il voto debba essere indirizzato su Pd o Pdl e non su altre forze elettorali, non fa altro che cercare di mantenere in vita un bipolarismo populista, ostile a ogni reale riforma nella società Italiana la cui sopravvivenza rappresenta il suo vero obiettivo della prossima tornata elettorale.

Il perfetto parallelismo dei destini politici di Bersani e Berlusconi è ancora più palese osservando la comune (anche se differente nello stile) reazione alla salita in politica di Monti. Così come Renzi, Monti rischia di fare saltare il banco del bipolarismo della Seconda Repubblica, tramite la costituzione di un ampio movimento non centrato su un leader ma su una coerente visione politica, sociale ed economica dello Stato vicino ai grandi partiti conservatori (anche se parlare di conservatore in Italia è fuori posto visto che c’è ben poco da conservare) delle democrazie più mature.

Se la Prima Repubblica era quella dei grandi blocchi idelogici che rispecchiavano un mondo diviso nell’area di influenza sovietica e in quella americana e la Seconda è quella di un bipolarismo basato su un leader e i suoi oppositori, la Terza Repubblica non può non essere quella in cui la contrapposizione è tra idee e programmi, dimenticando le vecchie ripartizioni tra destra e sinistra, realizzando quella completa maturazione della democrazia in Italia che il Paese attende dalla fine del XIX Secolo con il termine dell’esperienza della Destra e Sinistra storica.

Di questo sono assolutamente consapevoli Bersani e Berlusconi che, da politici che trovano fondamento nel vecchio regime, si oppongono al cambiamento che li porrebbe fuori gioco e vedono nella reciproca coesistenza la garanzia della conservazione dello status quo.

E questo è il vero bivio di fronte al quale si troveranno gli Italiani il 24 e 25 febbraio, tra mantenere in vita la Seconda Repubblica o iniziare a parlare di Terza.

Bersani e Berlusconi sono due facce della stessa (vecchia) Repubblica

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