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La pressione del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, perché la banca centrale diventi più attiva ha rilanciato il dibattito sull’indipendenza delle banche centrali. Il dibattito è stato aperto dal Financial Times. Si tratta di ridurre (in percentuale del Pil) il peso del debito delle famiglie e dello Stato. Una politica fiscale espansiva potrebbe aiutare a uscire dalla trappola del debito elevato in assenza di crescita, perché potrebbe far crescere il Pil (il denominatore). Ecco il meccanismo.

La politica fiscale espansiva, ossia la maggior spesa pubblica in deficit, può essere finanziata con le obbligazioni comprate dai privati, oppure (o anche) dalla banca centrale. Nel primo caso, è facile assistere ad un rialzo dei rendimenti richiesti e quindi del costo del debito, che alla lunga frenerebbe l’effetto espansivo. Nel secondo caso, questo potrebbe non accadere. La banca centrale compra il debito in misura sufficiente per non far salire i rendimenti, proprio come accade negli Stati Uniti (dove la banca centrale possiede il 10% del debito pubblico) e in Gran Bretagna (dove la banca centrale possiede il 25% del debito pubblico). In questo modo, il costo del debito che si espande è contenuto. Dopo un qualche tempo si potrebbe avere un’economia che cresce e che porta sotto controllo il debito.

La tentazione – un costo del debito pubblico contenuto nell’attesa che arrivi la crescita – è in atto negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, mentre nell’euro area aleggia. La tentazione è di difficile applicazione in Italia, per le ragioni esposte qui. La tentazione è alimentata anche dal dibattito sugli effetti depressivi delle politiche di austerità. Da quando il Fondo Monetario ha sostenuto che la contrazione del Pil che si ha con l’austerità è maggiore della riduzione del deficit e del debito che si ottiene. Ossia, per ogni euro di minori entrate e maggiori imposte, si ha una contrazione del reddito nazionale maggiore di un euro.

Dietro le discussione di natura tecnica si ha un dibattito politico. Il costo politico dell’austerità è elevato nel breve termine, come si vede bene dalla battaglia politica in corso. (Lo è però anche e forse di più nel lungo termine e in molti Paesi). Sorge perciò la tentazione – almeno per il breve termine – di maritare una politica fiscale espansiva con una politica monetaria accomodante. Che la tentazione sorga in Giappone con tanta chiarezza dipende dalla primogenitura della crisi. Il Giappone è stato, infatti, il primo Paese caduto nella trappola del debito pubblico creato al fine di non far avvitare l’economia che era oberata dal debito privato.

La discussione sull’indipendenza delle banche centrali può essere vista in due modi:

  • i politici, che per ragioni elettorali hanno un orizzonte di breve termine (sono “miopi”), mettono le mani sulla creazione della moneta. Lo fanno perché non sono in grado di cambiare i “diritti acquisti” dei propri elettori. Non riescono a tagliare le spese e neppure ad alzare le entrate in misura sufficiente e dunque ricorrono al debito pubblico finanziato con moneta. Il debito finanziato con la moneta della banca centrale costa meno di quello finanziato dai privati. Il costo del debito è perciò occultato. Il sistema politico ha il consenso necessario, ma il sentiero del consenso è ad alto rischio di crisi finanziaria. Il limite è quello di avere un Tesoro insolvente con la Banca Centrale piena di debito pubblico.

  • le banche centrali sono coscienti dei rischi di lungo periodo, ma sanno anche che nel breve periodo non si può andare avanti così. In piena indipendenza si danno degli obiettivi che aiutano l’economia ad evitare il peggio. Per esempio, gli interventi della Banca Centrale statunitense che compra i mutui ipotecari, e gli interventi di quella europea che finanzia le banche in modo che comprino il debito pubblico dei Paesi “mal messi”.

Ognuno scelga nella discussione sull’indipendenza delle banche centrali uno dei due punti di vista oppure ne immagini altri. Chi scrive pensa che entrambi i punti di vista esposti siano veri: i politici sono tentati e le banche centrali cercano di fare il possibile.

(l’analisi integrale si può leggere sul sito del Centro Einaudi)

Il dilemma dei banchieri centrali

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