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Sulla riva della Moscova, la guardia speciale del leader, complotta, d’intesa con il proprio comandante, contro il Presidente di tutte le Russie. Le ragioni sono profonde: Il Presidente vuole modernizzare e “occidentalizzare” l’enorme federazione, mentre la guardia speciale, alleata con i settori più tradizionalisti della Chiesa ortodossa è “nostalgica” del passato regime. A tal fine, il comandante, diventato l’amante della zia del Presidente ma, pur se politicamente vicino alla Chiesa tradizionalista, passa le proprie serate con “veline” e prostitute. Si susseguono attentati (anche nella metropolitana). tedeschi prossimi (anche in affari al presidente) vengono torturati in modo efferato. Ma non mancano spie (soprattutto nei “piani alti” del potere moscovita). Quindi, il Presidente passa al contrattacco: fa sterminare la propria guardia speciale ed uccidere in un bosco nei pressi di Mosca i congiurati.

Questa è Kovashchina, opera incompiuta di Modest Mussorgskrij, messa in scena per la prima volta al Kominov Teatr di San Pietroburgo nel 1886 in una versione orchestrata da Rimskij-Korsakov, quale si può vedere nella produzione della Bayerischen Staatsoper con regia di Dmitry Thcherniakov, uno degli enfant prodige della scena internazionale, concertazione di Kent Nagano ed un cast di livello. Chi non può recarsi a Monaco di Baviera può gustarla in un dvd di Unitel Classical, di non facilissimo reperimento nei negozi di dischi italiani. Ovviamente ,  il “dramma musicale” di Mussorgskrij non riguardava Putin e la Russia di oggi ma l’avvento al potere di Pietro il Grande (allora giovanissimo) attorno al 1680. Pietro “modernizzatore”, che spostò la capitale a San Pietroburgo, concesse alla popolazione di origine tedesca un quartiere (ed una chiesa nella nuova città) ed accolse i riti della Chiesa ortodossa di Costantinopoli (a cominciare dal segno della Croce). Non poté non attirare contro di sé una strana maggioranza di “vecchi credenti”, di boiardi, e degli strelzi (gli arcieri che dovevano essere il suo corpo speciale). L’opera (che non si vede in Italia dal 2003 quando ne venne importata a Firenze  un’edizione dell’Opéra di Parigi, è in scena a Monaco da cinque anni ed attira un pubblico giovane. Attualizzata parla dei nostri giorni e dei nostri problemi.    

Questo non è che un episodio ma merita una riflessione. Una delle ragioni dell’inarrestabile declino dell’opera in Italia è la presentazione di spettacoli polverosi. Le fondazioni liriche italiane non conoscono la funzione del “dramaturg”, tipica di teatri di altri Paesi. Non solo. Una “scuola” di regia di opera lirica ha dominato la scena italiana per decenni: quella delle regie sontuose e accurate ma tradizionali di Visconti, Samaritani, Zeffirelli, Pizzi, Ronconi (nomi di grande livello apprezzati anche all’estero) e dei loro allievi. Tale scuola ha, sotto molto aspetti, frenato tendenze differenti che avvicinavano l’opera ad altri generi di spettacolo dal vivo aperti alla sperimentazione.

La critica musicale, particolarmente quella della stampa generalista, ma anche quella delle cinque riviste specializzate, non ha agevolato il rinnovamento perché è rimasta legata, soprattutto in temi di regia e drammaturgia, a impostazioni tradizionali. Ad esempio, spettacoli recenti importanti nella stessa Milano, come la messa in scena di Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss in un nuovo allestimento di Claus Guth o di Tosca firmata da Luc Bondy sono stati duramente criticati dai maggiori quotidiani. Analogamente, a Roma, un allestimento innovativo di Tosca curato da Franco Ripa di Meana, un regista emergente e innovativo, è stato tolto dalla programmazione dopo poche sere.

Di conseguenza, alle nuove generazioni l’opera appare spesso come un reperto museale, lontano, ove non avulso, dalla loro realtà, spesso polveroso e dominato da intrighi di amministratori e “prime donne” d’antan . Ciò spiega la flessione e l’invecchiamento del pubblico agli spettacoli dal vivo. In effetti, si è verificato quello che gli economisti chiamano “un oligopolio collusivo” tra la “vecchia guardia” delle regie liriche e i loro allievi (le cui possibilità di lavoro dipendono in gran misura dalla capacità dei loro “maestri” di aprire porte) e una critica musicale ancorata anch’essa a vecchie tradizioni e sovente priva di una vera esperienza internazionale.

Vediamo cosa succederà la sera di Sant’Ambrogio alla Scala quando  Lohengrin di Wagner apparirà senza cigno e verrà presentato non come “una grande opera romantica” come un dramma quasi freudiano.  Il regista Claus Guth, spiegando di non essere “interessato all’immagine del cigno in sé, non è così importante: quel che conta è il fratello di Elsa, che si nasconde dietro quell’immagine, e sicuramente questo aspetto verrà sviluppato”. Inoltre l’opera sarà ambientata non nel Medioevo ma ai tempi di Wagner, quando “si ponevano le basi per quel sistema capitalistico-finanziario e politico nelle cui propaggini, o meglio conseguenze, ci troviamo a vivere oggi”. Per Guth, la chiave del “Lohengrin” sta nei traumi infantili della protagonista femminile dell’opera, Elsa. “Ho realizzato una sorta di background completo per questa giovane donna e Elsa ha svelato una storia e una psicologia di estremo interesse. Una ragazza rimasta orfana assai presto, che sente profondamente questa perdita, subito acuita dalla nuova perdita del fratello, che la scuote ulteriormente sino all’arrivo di Lohengrin, dove ha anche sviluppato una sorta di ossessione per una ideale figura di ‘salvatore'”.

Complotto a Mosca

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