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Pubblichiamo un articolo uscito su Ispi Online

Ieri la Tunisia si è svegliata con una terribile notizia: il segretario generale del Fronte Popolare, partito dell’opposizione, Chokri Belaid, è stato ucciso a colpi di pistola di fronte alla sua abitazione. Il partito di maggioranza Ennahda è stato messo subito sul banco degli imputati dai vari esponenti politici, accusato di aver fomentato il clima d’odio e di tensione che già dagli ultimi mesi si respirava in Tunisia. Di questo clima Belaid aveva parlato proprio martedì scorso: in precedenza era già stato minacciato di morte, e nel suo ultimo intervento durante l’assemblea plenaria della costituente, rimarcava la violenza metodica praticata dalle milizie di alcuni partiti politici, facendo trapelare il timore che sarebbe potuto avvenire qualcosa di grave. Proprio lui, personaggio storico della politica tunisina, che durante gli anni del regime di Ben Ali si batteva anche in favore del diritto di espressione dell’Islam politico, è stato vittima dell’attuale clima di tensione.

Questo fatto non è casuale, ed è accaduto in un contesto politico ben preciso, caratterizzato da una profonda crisi del governo transitorio negli ultimi due mesi: sempre meno popolare secondo i sondaggi, la Troika (coalizione di maggioranza tra Ennahda, Cpr ed Ettakatol), in queste settimane stava cercando un accordo sul rimpasto di governo, continuando tuttavia a rinviare l’annuncio delle nomine, non raggiungendo una soluzione a causa di conflitti e divisioni intestine. Non sono stati pochi i dimissionari dei tre partiti della Troika: l’ultima defezione, e la più clamorosa, è stata quella di lunedì 4 febbraio, della deputata di Ennahda, Fattoum Attia, le cui dichiarazioni sono state inutilmente smentite dal partito stesso, nel tentativo di arginare questa deriva di scissione interna.
Non solo: martedì 29 gennaio, era stato firmato un accordo tra i tre principali partiti dell’opposizione, al-Masar, al-Jumhouri e il neonato Nidaa Tounes – etichettato dai detrattori come un partito pro-Ben ‘Ali – per un possibile restauro dell’ex regime. Nonostante le accuse, questo partito, nato come chiara alternativa a Ennahda, ha raccolto sempre più consensi fra il popolo, fino alla scorsa settimana, ovvero quando dopo l’ufficializzazione della nascitura “Troika dell’opposizione”, lo vedeva in testa ai sondaggi, superando il partito islamico. Un’opposizione sempre più forte e i conflitti interni, hanno indebolito quella solida maggioranza che aveva portato alla creazione di un governo transitorio, ma quello che è accaduto ieri, ne segna la definitiva perdita di attendibilità. Ben tre sedi di Ennahda sono state prese d’assalto, mentre i Tunisini, scesi in piazza esattamente come due anni fa in Avenue Bourghiba, chiedevano le dimissioni del governo. Negli scontri è morto anche un poliziotto.

A pochi mesi dalle elezioni, e durante la delicata fase dell’approvazione finale della costituzione, lo spettro del fondamentalismo è arrivato a toccare il cuore della politica del paese. La Tunisia vive, oltre alle tensioni socio-economiche, quella spaccatura tra laici e islamisti che in parte anche l’Egitto si trova a dover fronteggiare: questi ultimi, a volte, nasconderebbero tra le loro fila gruppi affiliati al salafismo di matrice jihadista.

Quello che spaventa oggi il paese, è il probabile dissolvimento di tutti quei passi fatti verso una democratizzazione dopo la fuga di Ben ‘Ali in Arabia Saudita il 14 gennaio 2011. La sfida da affrontare per la Tunisia diventa ancora più ardua: sempre che il processo di rinnovamento del paese prosegua fino alle elezioni parlamentari e presidenziali, l’attuale opposizione potrebbe rivelarsi maggioritaria. Una sua eventuale vittoria, però, correrebbe il rischio di scatenare la reazione di quella minoranza appartenente all’Islam politico pronta a usare ogni mezzo per imporre le proprie idee. L’attentato di oggi, oltre ad aumentare la confusione, può essere occasione per una nuova collaborazione tra le forze politiche, mostrando allo stesso tempo il prezzo da pagare se a fronteggiarsi sono quelle parti che ritengono la loro strada come l’unica da perseguire. Il partito islamico moderato Ennahda, in questo contesto, avrà la responsabilità di isolare le fazioni salafite più radicali.

Marco Nembrini è Field Office del Carter Center a Tunisi.

Tunisia, la transizione è a rischio

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