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Cade dopo 19 mesi la moratoria sulla costruzione di nuovi reattori nucleari imposta dal governo cinese come conseguenza del disastro all´impianto nipponico di Fukushima. La decisione è arrivata ieri a tarda notte, dopo una riunione del Consiglio di Stato, l´organo esecutivo, presieduta dal primo ministro Wen Jiabao. Segue inoltre di una settimana il documento cui il ministero dell´Ambiente annunciava la volontà di Pechino di migliorare gli standard di sicurezza dell´atomo cinese che aveva fatto presagire la revoca dello stop a nuovi reattori.
 
La Repubblica popolare è il maggiore consumatore di energia al mondo. Tra i programmi di Pechino c´è anche la diversificazione delle proprie fonti di approvvigionamento e la diminuzione della dipendenza dall´importazione di fonti fossili. Nel libro bianco diffuso ieri, Pechino ha fissato al 30 per cento la quota di energia prodotta dal solare, dall´eolico e da altre rinnovabili entro i prossimi tre anni. Nello stesso periodo punta ad arrivare a 40 gigawatt prodotti dal nucleare. Attualmente, scrive l´agenzia ufficiale Xinhua citando i dati del governo, soltanto 1,8 per cento dell´energia cinese viene dall´atomo, ben al di sotto della media globale del 14 per cento.
 
Tuttavia il piano nucleare del governo cinese è meno ambizioso degli obiettivi fissati prima dell´incidente di Fukushima a marzo del 201. Non più 100 reattori nei prossimi vent´anni. Al momento si parla di “pochi” reattori da costruire entro il 2015 e lungo le zone costiere. Restano quindi ancora fermi i progetti nell´entroterra e nelle aree centrali, che diciannove mesi fa, erano un terzo di quelli previsti e per la cui approvazione si erano prodigati i governi locali nella corsa a riequilibrare lo sviluppo economico cinese che vede nelle coste il proprio motore.
 
I progetti dovranno inoltre adeguarsi agli standard di sicurezza internazionali. Tanto più dopo quanto emerso nel rapporto della scorsa settimana secondo cui non si poteva essere troppo ottimisti al riguardo per la diversità delle infrastrutture nucleari del Paese. C´è inoltre il tema della sempre maggiore opposizione della popolazione a progetti considerati pericolosi per l´ambiente.
 
Si fa pertanto riferimento a rettori di terza generazione. Ossia, nota il Financial Times, la stessa di cui sono pionieri la francese Areva e la Wastinghouse, di proprietà della giapponese Toshiba, oggi forse svantaggiata dal difficile momento tra Tokyo e Pechino per le dispute territoriali sulle Senkaku-Diaoyu che stanno avendo ripercussioni sui rapporti commerciali tra la seconda e la terza economia al mondo.

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