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E’ stata il ministro degli Esteri, ma soprattutto il ministro degli “affari” americani nel vero senso della parola. E’ questo il ritratto che BusinessWeek fa di Hillary Clinton, giunta a conclusione del suo incarico quadriennale come segretario di Stato.

Il magazine di proprietà di Bloomberg inizia la sua analisi dal 79esimo e ultimo viaggio all’estero di Clinton, a dicembre, quando ha trovato il tempo, stretta tra i colloqui sul futuro della Nato in Afghanistan e la guerra civile siriana, per una breve fermata nella Repubblica Ceca per incontrare il primo ministro, Petr Necas, e fare le veci della Westinghouse Electric, che mira a ottenere un contratto per costruire nel Paese una centrale nucleare, a scapito del concorrente russo.

Ma missioni di questo tipo, nei quattro anni di Clinton a capo della diplomazia, si sono verificate numerose volte: nel 2009 a Mosca, per convincere i russi a comprare i Boeing 737 invece degli Airbus; nel dicembre 2011, quando fu suo il merito per un contratto ottenuto da Lockheed Martin in Giappone, grazie ai colloqui con la controparte alle Nazioni Unite. E ancora: il contratto della Space Systems/Loral in Australia, e l’avvio di incontri commerciali con Google, MasterCard e Dow Chemical in Birmania, dopo la fine delle sanzioni.

Con Clinton la diplomazia commerciale, in passato considerata di secondo piano e lasciata nelle mani del dipartimento del Commercio, ha assunto un’importanza strategica. In un periodo in cui si sono susseguite numerose crisi internazionali, il lavoro svolto come portavoce del business americano è una parte meno visibile della sua eredità. Ma potrebbe essere la più duratura e importante.

Clinton ha riorientato le priorità del dipartimento di Stato dopo aver visto come lavoravano gli altri Paesi: “Una delle cose sentite quando ero senatrice – ha raccontato – e risentite all’inizio del mio incarico come segretario di Stato, è che le aziende americane avevano smesso di essere competitive perché le carte venivano truccate a loro svantaggio”. “Se non puoi competere in maniera onesta e leale, nessun governo dovrebbe intervenire, ma alcuni governi lo fanno”, ha spiegato Clinton, che ha deciso di “giocare sullo stesso campo di gioco”. Ha cominciato a girare il mondo e a farsi portavoce degli affari statunitensi: ha percorso 956.733 miglia (più di un milione e seicentomila chilometri) in 401 giorni all’estero, un record per un segretario di Stato, aprendo nuovi mercati al commercio statunitense per rispondere all’avanzata indisturbata della Cina.

Ovunque ci fosse un’azienda statunitense in competizione per un contratto, arrivava il sostegno diretto di Washington; le più fortunate potevano contare sull’impegno in prima persona di Clinton. Un impegno mal digerito dal dipartimento del Commercio, scavalcato dal segretario di Stato, ma accolto con entusiasmo dalla Camera di Commercio e dagli amministratori delegati.

Per far attecchire il nuovo modus operandi, Clinton ha cercato di modellare la mente delle 69.000 persone che lavorano per il governo in giro per il mondo; ha chiesto alle ambasciate di mettere in cima alle priorità l’aiuto alle aziende americane per ottenere contratti nei rispettivi Paesi. Ma solo se questo sistema sopravviverà alla sua uscita di scena, Hillary Clinton potrà dire di aver avuto davvero successo.

Hillary giramondo ritratta da BusinessWeek

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