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Paradossi dell’Italia. Un Paese, sostanzialmente, ricco di acqua ma con una rete idrica ridotta come un colabrodo. A fronte di bollette tra le più basse d’Europa, con un costo di circa un euro a metro cubo, nel nostro Paese le perdite dovute a ‘antichità’ infrastrutturale, e alla poca funzionalità, arrivano al 30%. Senza contare che il 15% della popolazione è privo di sistema fognario, e che i depuratori sono perlopiù insufficienti o addirittura inesistenti per un italiano su tre. Ciliegina sulla torta, al Sud la discontinuità dell’erogazione rappresenta un problema concreto, sentito soprattutto nella stagione estiva. Il quadro, tutt’altro che roseo, è stato delineato dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che con il decreto ‘Salva-Italia’ ha preso in carico alcune competenze anche sull’acqua.

Di fronte a questa situazione, un intervento urgente è necessario soprattutto per non incorrere in sanzioni europee in materia di perdite e inquinamento. Nel lungo periodo, secondo le stime dell’Authority, servirebbero investimenti per 65 miliardi. Una ‘bella’ somma per la quale bisogna guardare a fondi rotativi e water bond. Su tutto però è necessario partire dalla revisione del sistema di tariffazione.

Dall’inizio del 2013 l’Authority definirà una “tariffa ponte” in vista dell’arrivo, dopo due anni, della “tariffa unica per ambito territoriale”. Obiettivo principale, che deve tener conto dell’esito del referendum del giugno 2011, è quello di dare un’indicazione sulla metodologia tariffaria in modo che valuti i costi e garantisca il ritorno degli investimenti (soltanto ad opere effettuate); questo per dare la possibilità al mercato di investire con maggiore tranquillità. Una volta a regime, la nuova tariffa – ha spiegato il presidente dell’Autorità Guido Bortoni, nel corso della prima grande Conferenza nazionale sull’acqua di qualche giorno fa a Milano – dovrà garantire “sostenibilità economica, assicurare la copertura dei costi di esercizio e di investimento, garantire la sostenibilità ambientale dell’uso della risorsa idrica, garantire il rispetto dell’esito referendario, ed introdurre meccanismi per promuovere investimenti nel settore”.

Dalla riduzione delle perdite così come dal miglioramento della qualità del servizio, sarebbero molte le ricadute ‘benefiche’ ambientali e socio-economiche che si potrebbero ottenere investendo nell’acqua e nella revisione dei quasi 200.000 km di rete idrica nel nostro Paese, in parte da ricostruire e in parte da sostituire. Per una ricerca, realizzata dal bocconiano Alessandro Marangoni, due sono i ‘simboli’ del problema: gli acquedotti, in cui ci sono ancora troppe “disparità tra regioni e ritardi rispetto ad altri Paesi”; e il mancato “ammodernamento” dell’agricoltura, settore in cui serve “una maggiore efficienza”, cosa che porterebbe 8,1 miliardi di benefici in 30 anni. Con investimenti per 65 miliardi – spiega la società Althesys guidata a Marangoni – le prime cose da fare sarebbero quelle di mettere le ‘toppe’ (sostituzione di circa 172.000 km di opere, pari al 51%) alle perdite della rete idrica, ringiovanire almeno 63.000 km (pari al 38%) del sistema delle fognature (che copre oggi l’86% della popolazione), e completare il sistema di depurazione del Paese (che copre il 70% della popolazione), evitando le multe dell’Unione europea. Necessario infine, a detta di Althesys, definire un quadro normativo chiaro in modo da rendere “attraente il settore” per gli investimenti, la pianificazione e la gestione.

Mettiamo una toppa alla rete idrica

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