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L’Oceano Atlantico non è mai sembrato così vasto quanto due giorni fa. Mentre sulla costa americana una delle campagne presidenziali più combattute della storia americana, sintomo della crescente polarizzazione della società statunitense, terminava con richiami all’unità degli americani di fronte alle sfide del futuro prossimo sia da parte del vincitore che del candidato uscito sconfitto, in Europa una giornata caratterizzata da dati macro economici molto negativi aveva come suo epilogo gli scontri di fronte al Parlamento greco, in risposta ai nuovi tagli imposti dalla Troika.
 
Non che Stati Uniti ed Europa non siano accumunati da prospettive di un difficile 2013. Mentre sulla sponda Ovest dell’Atlantico il Fiscal Cliff di inizio anno, derivante dallo scadere degli sconti fiscali decisi dall’amministrazione Bush uniti alle imposte figlie di Obamacare costituiscono una formidabile sfida per Amministrazione e Congresso per evitare un disastroso ritorno in recessione da parte della più grande economia del pianeta che può essere evitato solo con un approccio bipartisan, l’Europa si trova di fronte alla prospettiva di un forte incremento della recessione con pesantissimi effetti occupazionali e sociali.
 
Lo scenario tra Paesi emergenti e Medio Oriente
Il tutto è aggravato dal rallentamento della crescita delle economie emergenti (Cina e Brasile in primis), dalle incertezze derivanti dal cambiamento alla guida del Partito Comunista Cinese e dalle tensioni in Medio Oriente dovute alle instabilità conseguenti alla Primavera Araba e al confronto Israele/Iran, fattori che rinforzandosi reciprocamente in uno scenario economico fortemente interconnesso quale quello attuale, fanno prefigurare ad autorevoli commentatori, quali Noriel Roubini, un 2013 all’insegna della tempesta economica perfetta.
 
Il ruolo determinante di Mario Draghi
La crisi economica in Unione Europea è stata sinora fronteggiata dalla Banca centrale europea in modo efficace tramite il sistematico ricorso (o annuncio di possibile ricorso) a politiche monetarie espansive non convenzionali mentre, sul fronte della politica sinora è mancata una vera leadership a livello continentale (anzi la politica si è fatta apprezzare per la propria incapacità di portare avanti riforme strutturali). Anzi, al contrario i leader dell’Eurozona, signora Angela Merkel in prima fila, hanno sinora posto e porranno sempre di più al centro della loro agenda le scadenza elettorali nazionali a discapito degli interessi economici del continente nel suo complesso.
 
Gli effetti deleteri dell’austerità
La risultante è stato un sistematico e indiscriminato ricorso a politiche di austerity fiscale che, finalizzate al soddisfacimento dei bisogni demagogici dei ventri elettorali dei singoli Paesi dell’Eurozona (salvo accorgersi tardivamente di come i destini europei siano interconnessi e una tempesta ad Atene generi un uragano per le imprese della Ruhr) e non accompagnate da politiche strutturali di liberalizzazione e di rimozione dei vincoli alla crescita delle singole economie nazionali, hanno avuto un effetto fortemente depressivo (peraltro come avvenuto al tempo della Grande Depressione degli anni ‘30 che ha avuto tra le principali determinanti i tagli fiscali dell’Amministrazione Hoover).
 
La sciagurata ventata populista
Risultato è il progressivo emergere di una ventata populista negli elettorati europei che alimentata dal crescente disagio sociale, rischia, nella migliore delle prospettive, di polarizzare ulteriormente le politiche nel nostro Continente e, nella peggiore, di mettere a rischio la stabilità stessa dell’Eurozona trascinando il continente in uno scenario di tensioni sociali che potrebbero portare a conflitti interni ed esterni ai singoli paesi.
 
Urge New Deal in Europa
È il momento, ora e non nella seconda metà del 2013 dopo le elezioni in Germania e Italia, che i leader politici europei immaginino un New Deal continentale volto a prevenire gli effetti della tempesta perfetta sui fragili argini dell’Eurozona. Chiamatelo Stati Uniti d’Europa, chiamatelo Unione bancaria e fiscale o in qualsiasi altro modo ma senza una leadership al timone della zattera europea il sogno unitario di Adenauer, Schuman, Spinelli e De Gasperi è destinato a infrangersi contro gli scogli.

Solo un New Deal salverà l’Europa

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