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Ormai è fatta. Umberto Ambrosoli è il candidato alla presidenza della Regione Lombardia del centro-sinistra, e forse non soltanto. Resta il nodo delle primarie, che sono già state fissate e contano diverse candidature: non sarà facile scioglierlo per il Pd, proprio in un momento in cui il segretario nazionale è distratto dalla campagna per le primarie nazionali.
 
Ma il punto ora è un altro. Ambrosoli è un giovane dalla faccia pulita, un professionista stimato, un cattolico moderato, ma soprattutto è un simbolo. Il cognome che porta rappresenta di per sé tutti quei valori reclamati unanimemente per riportare pulizia e autorevolezza nei palazzi offesi della politica lombarda. In altre parole, Ambrosoli si presenta come il candidato che ogni lombardo potenzialmente vorrebbe alla guida della propria Regione in un momento di così profondo degrado.
 
Tuttavia, qualche riflessione in più andrebbe fatta da parte dei tanti, forse troppi, che si apprestano a dare le carte nel riposizionamento dei poteri in Lombardia.  Anche qui, come nel resto del Paese, i partiti sono allo stremo, privi di ogni credibilità e, quindi, costretti a cercare fuori dai propri confini un candidato presidente. Questo, purtroppo, conferma la cecità di un’intera generazione di politici, che non hanno voluto/saputo investire sulla formazione di una nuova classe dirigente, che avrebbero potuto mettere in campo adesso.
 
Si ritrovano, anzi, a fare di peggio: a nascondersi non solo dietro un candidato “straniero”, ma ora anche dietro una lista “straniera”, perché civica e diluita dalla contaminazione con altri partiti. Nessun candidato autorevole, infatti, è disponibile a mescolarsi con i partiti persino nella gara elettorale, dove essi invece sono cruciali perché portano in dote strutture solide e ancora decisive per la battaglia sui territori. No, meglio una lista: qualunque candidato si convinca a scendere in campo lo fa ponendo lui le condizioni, perché sa di poterle dettare.
 
È veramente la sconfitta della politica e un’umiliazione senza precedenti dei partiti, ridotti ormai a subappaltare la propria funzione a terzi, dietro il cui brand tentano maldestramente di camuffare il proprio. Solo che qui non si tratta di cambiare il testimonial per il lancio di un nuovo prodotto, ma di trovare qualcuno che in quel prodotto crede e che per quel prodotto voglia spendersi sino in fondo.
 
La battaglia per una Regione, come quella per il Parlamento, oggi non può più essere scissa dalla battaglia per i partiti, per riportarli alla loro funzione che – non va scordato – ha un rango costituzionale. Se così non fosse, neanche il più autorevole dei candidati – quale pure Ambrosoli è – potrà cambiare davvero le cose. Certo, i partiti gli stenderanno tappeti d’oro adesso, perché è funzionale per portarli tutti alla vittoria. Ma poi, una volta insediato il nuovo presidente, è difficile credere che lo lasceranno governare.
 
Paola Caporossi – Direttore della Fondazione Etica

In Lombardia candidati e non testimonial (Ambrosoli?)

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