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Macché massicce privatizzazioni delle società statali. Macché tesori di spa da vendere. Macché dismissioni fruttuose.
 
Il ministero dell’Economia retto da Vittorio Grilli smonta l’enfasi che una parte della pubblicistica assegna all’alienazione delle quote del Tesoro nelle società a partecipazione pubblica. Alcune slide illustrate nel seminario sulle politiche per la riduzione del debito pubblico organizzato il 25 ottobre dal dicastero di via Venti Settembre sono emblematiche.
 
Le privatizzazioni? Già fatte
 
Innanzitutto “il processo di privatizzazione si è realizzato sostanzialmente dal 1994 al 2005”, secondo Grilli, come emerge dalle slide lette da Formiche.net. Ecco i principali numeri. Ci sono state 48 operazioni di dismissione in quel periodo che hanno riguardato 30 società. Gli introiti sono stati 96 miliardi di euro. Oltre 50 i miliardi di euro cumulati ad oggi come risparmi di interessi per il minore stock del debito. Infine l’effetto sul debito: il rapporto debito/pil è passato dal 121% del 1994 al 106,4% del 2005.
 
Occhio alla Borsa
 
Quindi? Quindi – è il ragionamento che il Tesoro ha offerto ad analisti ed operatori – bisogna andare cauti. Innanzitutto per l’entità degli introiti realizzabili. Ovvero: “Per quanto riguarda le società quotate, l’attuale situazione di mercato evidenzia quotazioni fortemente inferiori ai valori massimi registrati negli ultimi anni”, ha detto il Tesoro ai presenti. Si va infatti da un minimo del 40% nel caso dell’Enel a un massimo del 65% per Finmeccanica (se si confrontano il valore delle quote del Mef nell’ultimo mese a quello massimo dal 2008).
 
La simulazione dei tecnici
 
Insomma, nulla di ideologico ma di pragmatico nel ragionamento di Grilli. Infatti il Tesoro ha calcolato la convenienza tra perdita di dividenti da partecipazioni oggetto di eventuale cessione e minori interessi passivi sul debito pubblico rimborsato. Il risultato sconfessa ogni teoria privatizzatrice (con buona pace dei liberisti duri e puri).
 
Le stime delle dismissioni
 
Nell’ipotesi di cessioni di partecipazioni in società quotate con un incasso di 12,5 miliardi di euro, i minori incassi per lo Stato (da perdita di dividendi e di minori flussi di cassa) sarebbero quasi il doppio (1.496 milioni) del risparmio sugli interessi derivanti dal minore debito pubblico (514 milioni).
 
La strategicità di energia e difesa
 
Insomma, ci sono tre buoni motivi per non alienare le quote in Eni, Enel e Finmeccanica, secondo Grilli. La prima è la “strategicità per il Paese del mantenimento di una presenza pubblica in settori importanti come l’energia e la difesa”.

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