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Esaurimento di giacimenti finora fondamentali per l’economia russa. Ricchezza energetica di Artico ed estremo oriente federale. Difficoltà nel raggiungere gli idrocarburi in zone segnate da condizioni naturali estreme. Mancanza di esperienza e tecnologia inadeguata ai compiti. Necessità di finanziamenti. Queste le condizioni che stanno spingendo Mosca a una strategia energetica che ha poche alternative: cercare nuove fonti di idrocarburi, farlo insieme ad aziende occidentali.
Piani che per quanto riguarda il petrolio stanno esaltando il ruolo centrale dell’azienda statale Rosneft. Venerdì i dirigenti del gigante petrolifero russo nato dalle ceneri di Yukos e, dal giugno 2006, quotato alle Borse di Londra e Mosca, hanno firmato con i colleghi norvegesi di Statoil un accordo per ricerca e sfruttamento delle risorse naturali presenti nelle acque comuni del mar di Barents e in quello di Ochotsk, nell’oceano Pacifico tra Siberia e Giappone. Secondo l’azienda russa si tratta di portare alla luce circa 15 miliardi di barili di petrolio con costi di esplorazione dell’ordine di 2,5 miliardi di dollari.
 
L’accordo di venerdì segue quello di metà aprile tra Rosneft e Exxon Mobil che non solo ha aperto all’azienda di stato russa le porte per partecipare a due progetti petroliferi nordamericani, ma ha anche permesso un trasferimento di conoscenza e tecnologia per l’esplorazione di giacimenti siberiani di difficile accessibilità. Una settimana dopo un passo simile veniva fatto con l’italiana Eni. In entrambi i casi le aziende straniere, promettendo il finanziamento delle fasi di sondaggio e perforazione, ricevono una quota di minoranza dei progetti pari al 33%. Vladimir Putin che ha stimolato la realizzazione dei tre progetti ha assicurato a Statoil il sostegno dell’esecutivo di Mosca.
 
Sgravi fiscali in vista
In realtà i piani si reggono soprattutto sulle aspettative di sgravi fiscali per le aziende energetiche straniere e per quelle private russe. La scorsa settimana, a pochi giorni dall’incarico presidenziale, è stato il primo ministro russo ha garantire alle società petrolifere i vantaggi dovuti al fatto che i giacimenti da esplorare e sfruttare si trovano in zone estremamente complicate da raggiungere. Putin ritiene che entro il prossimo ottobre il governo avrà elaborato le norme fiscali necessarie. Secondo quanto affermato dal vice ministro federale per l’energia, Pavel Fedorov, gli investitori nazionali e internazionali dovrebbero godere di un periodo, tra i cinque e i dieci anni, di “certezza di pianificazione”.
Con le agevolazioni fiscali il presidente russo spera in una maggiorazione delle estrazioni di petrolio tra lo 0,8 e i 2 milioni di barili al giorno, un risultato raggiungibile però solo a partire dal 2020. Secondo dati del ministero dell’Energia in aprile la Federazione ha pompato 10,3 milioni di barili al giorno, il livello più alto dal crollo dell’Urss. Putin si è detto certo che entro l’anno Mosca sarà in grado di raggiungere un’estrazione media superiore ai 10 milioni di barili quotidiani.
 
Attualmente Mosca è il maggiore produttore al mondo di petrolio e il più grande esportatore di energia del pianeta. Le capacità dei giacimenti di olio nero della Siberia orientale risalenti al periodo sovietico sono però in visibile calo. Ora secondo quanto affermato da Fedorov le agevolazioni fiscali dovrebbero dare seconda vita ai pozzi più sfruttati. La fiscalità estrattiva guarda al prezzo delle esportazioni di petrolio russo, Ural,, ed era pari, secondo quanto riportato lo scorso anno dall’agenzia Bloomberg, a circa 21 dollari al barile (il prezzo spot del petrolio tipo Ural è di circa 111 dollari). Secondo i piani dell’esecutivo russo i progetti più complessi pagheranno la tassa sulla produzione in un range compreso tra lo zero e il 10%. Fiscalità che sale al 10 e il 30 percento per i giacimenti più abbordabili per arrivare al 50 percento nei confronti di piani che non presentano grandi difficoltà di esplorazione ed estrazione.
 
Gli esperti ritengono la Russia uno dei paesi a regime fiscale più duro per le compagnie energetiche. Secondo Bloomberg nell’anno in corso la tassa media sulle estrazioni di petrolio è già cresciuta del 6 percento, mentre la scorsa settimana il Cremlino ha aumentato di quattro volte la tassa per le esplorazioni di gas naturale. Anche la presidenza Putin dovrà convivere con un vecchio problema: la metà del bilancio russo dipende dalle materie prime. Riguardo la strategia fiscale, Mosca deve scegliere tra l’ennesima stretta o la via degli incentivi. In questo secondo caso i risultati, aumento delle estrazioni energetiche, si avrebbero nel medio periodo ma sarebbero più affidabili rispetto a nuove tasse che darebbero il colpo di grazie a giacimenti sfiniti da sfruttamenti decennali senza aprire la strada a nuove e più redditizie esplorazioni e estrazioni. In questo caso l’introduzione da parte delle aziende straniere di tecniche ed esperienze necessarie a operazioni difficili rappresenterebbe un ulteriore vantaggio. Questa volta per le compagnie energetiche russe.

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@masechi

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