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La politica estera non è presente nel menù della campagna elettorale americana. Almeno non nella corsa verso le presidenziali del prossimo 6 novembre. I due candidati sono soprattutto concentrati sui programmi interni per provare a convincere agli statunitensi che le priorità riguardano il paese: crescita, occupazione, sistema fiscale, leggi sull’aborto e lo stupro, sistema sanitario. Perché poco importa la lotta per la pace nel mondo se in casa ci sono piccole guerre che compromettono il benessere collettivo.
 
Eppure, le poche volte l’argomento della politica estera diventa un caso mediatico, lo scontro tra Mitt Romney e Barack Obama è frontale. È accaduto dopo la morte dell’ambasciatore americano a Bengasi, Chris Stevens, quando l’attuale presidente è stato accusato di avere sbagliato posizione, di non difendere abbastanza i propri uomini nelle zone di conflitto e di essere ambiguo sui valori americani.
 
Oltre alle tensioni sull’Islam, la minaccia nucleare iraniana e la posizione rispetto all’Israele, la nuova radiografia geo-economica del mondo propone un’attenzione particolare della potenza nordamericana verso l’Asia. Dalla Cina alla Corea del Sud, gli Usa concentrerebbero in questo emisfero gran parte dei futuri rapporti internazionali. Ma nelle prospettive degli Stati Uniti non si può cancellare il ruolo dell’Europa: “Obama vuole fare diventare gli Usa uno stato di Europa”, ha accennato Romney.
 
Secondo Roberto Menotti, Senior Research Fellow dell’Aspen Institute Italia, ogni volta che l’Europa si affaccia nella campagna elettorale americana lo fa con una connotazione negativa e strumentalizzata. A svantaggio soprattutto di Obama. “Discutere dell’Europa danneggia il presidente americano perché è vulnerabile sul piano ideologico del programma economico. Più di una volta è stato accusato di adottare una linea di politica economica ‘all’europea’, che ha prodotto l’attuale debito americano. Si parla dell’Europa ma solo nel dibattito interno e in un modo strumentalizzato”, dice Menotti in conversazione con Formiche.net.
 
Un altro aspetto che accumuna l’agenda degli Stati Uniti e quella dell’Europa è la preoccupazione per la crisi dell’euro. L’aggravamento dello stato della moneta europea frenerebbe la ripresa economica americana e costringerebbe il governo statunitense a fare dure scelte riguardo alla linea tedesca. Per Menotti, “Obama dovrà prendere una posizione netta a favore o contro la Germania”. Sull’articolo pubblicato oggi sul Financial Times nel quale si spiegano le ragioni per cui alla Germania converrebbe uscire dall’euro, il ricercatore sostiene che è semplicemente una provocazione poco credibile perché l’economia tedesca rappresenta un’eccezione nel quadro generale dell’Europa.
 
E sebbene le decisioni prese dalla fine dell’estate ad oggi dalla Banca centrale europea, tra cui l’acquisto illimitato dei titoli di Stato, hanno rassicurato i mercati finanziari e i partner europei (cominciando dagli Usa), non tutto è risolto. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha incontrato il cancelliere Angela Merkel e il premier Mario Monti ha assicurato con entusiasmo in un’intervista alla Cnn che dopo la crisi in Grecia “l’Ue è più forte”. E mentre Silvio Berlusconi ha assicurato in un’intervista all’Huffington Post Italia che bisogna convincere “la Germania che non si può andare avanti con l’austerità”, bruciano le piazze della Spagna (al bordo dell’abisso economico) ed è allarme di sciopero generale in Grecia.
 
La Germania sente gli schizzi della recessione e l’Europa vede aumentare le differenze interne: “Ecco qual è il maggiore rischio: la grave differenza che esiste tra le crescite dei cosiddetti paesi periferici della eurozona e la Germania. Differenze che mettono a rischio gli equilibri e la stabilità dell’euro. E su questo poco o nulla può fare la Bce”, spiega Menotti. Un altro punto critico che gli Stati Uniti dovranno segnarsi nell’elenco dei problemi da affrontare.

La vera preoccupazione di Obama è l’Europa

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