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Giusto o sbagliato che sia, in Italia la reputazione delle scuole che sfruttano la rete per offrire corsi a distanza è molto bassa. La convinzione comune è che siano scorciatoie per mettersi in tasca un titolo con poca fatica.

Non è così in tutto il mondo. Nel Regno Unito quasi 200mila persone risultano iscritte alla Open University, che offre corsi di laurea a distanza, via internet. Molti si iscrivono a esami singoli, per imparare materie molto specifiche che possono tornargli utili nella vita — dal web design alla contabilità. Ma c’è chi paga 5000 sterline all’anno per laurearsi nell’Ateneo digitale. Spesso si tratta di studenti lavoratori — a tempo pieno o part-time.

In Paesi in cui non esiste il valore legale del titolo di laurea, ci sono solo tre motivi per cui può valere la pena di iscriversi all’università: per imparare, perché la reputazione dell’istituto fa sì che i suoi titoli aiutino a trovare lavoro, e per fare conoscenze utili.

Se sull’ultimo punto la Open University non è il massimo, sul fronte dell’apprendimento e della reputazione inizia a fare concorrenza ad alcuni atenei tradizionali.

Anche le prestigiose università della Ivy League hanno fiutato il cambiamento. Harward ed il Mit di Boston hanno investito 60 milioni di dollari nella piattaforma edX, che offre corsi on-line.

Ma come sempre, la rete frantuma confini e gerarchie. Il settimanale britannico Prospect, in un’inchiesta ripresa anche da Internazionale, ha raccontato la storia di siti web come Udacity e Coursera. Il primo è stato fondato da Sebastian Thrun, ex ricercatore di punta di Google e docente della Stanford University. Coursera è una creatura di Daphne Koller e Andrew Ng, che hanno lavorato con Thrun nell’università californiana.

Su queste piattaforme sono accessibili lezioni di livello universitario a titolo gratuito, o quasi. Anche Google mette a disposizione corsi di programmazione su Youtube.

Certo, guardare lezioni in video o in podcast non è come seguirle dal vivo. Non c’è interazione, non c’è il contatto con persone che condividono lo stesso percorso di studi, non si scambiano idee, ed è difficilissimo gestire laboratori e lavori di gruppo via internet.

Ma, proprio in un Paese come l’Italia, in cui classi sovraffollate che non consentono nessun contatto con i professori e scarsa presenza degli studenti alle lezioni riescono ad andare di pari passo, per molte facoltà le lezioni on-line potrebbero essere una svolta.

Un tempo l’università aveva il merito — se lo si considera tale — di raccogliere un’élite in un unico luogo che consentiva uno scambio creativo. Una cosa banale come una lista di buoni libri da studiare poteva fare la differenza tra gli iscritti ad un corso di laurea ed il resto del mondo. Oggi tutto questo non ha più senso. Gli studenti delle università più sperdute possono leggere i blog dei premi Nobel, mentre i grandi atenei somigliano sempre più a dei giganteschi porti di mare che a delle comunità di persone.

E allora, perché non iniziare a trasferire qualche corso on-line?

twitter@pfrediani

Se Youtube fa concorrenza all'Università

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