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L’eccezionalismo politico italiano (la cronica incapacità di produrre governi coesi, sostenuti da stabili maggioranze parlamentari) sta indebolendo l’Europa e minacciando la sopravvivenza dell’eurozona. In Italia ci vuole più di una riforma elettorale: è necessario un rinnovo istituzionale complessivo. Le caratteristiche particolari del Paese accentuano le ragioni di contrasto tra il sistema politico-istituzionale nazionale e le altre democrazie, e mettono in evidenza le sfide che dovrà affrontare per diventare “normale”. È sempre stato difficile, in queste condizioni, produrre da un’accozzaglia di forze politiche e gruppi di interesse un governo che sia più della somma delle parti.
 
Primo, le riforme strutturali complesse sono state realizzate soprattutto su iniziativa di governi tecnocratici, come l’attuale esecutivo di Mario Monti. I governi di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 e di Lamberto Dini nel 1995 portarono a compimento significative riforme rispettivamente del mercato del lavoro e delle pensioni. Ma i governi eletti, anche quelli con una grande maggioranza parlamentare come l’ultimo governo Berlusconi, hanno mancato più volte l’obiettivo di realizzare grandi riforme strutturali.
 
Secondo, la politica italiana è dominata da tempo da politici di carriera che hanno trasformato un servizio pubblico in una lucrosa professione. Interessi costituiti prevalgono spesso sul bene pubblico e abbonda la corruzione. Secondo Marco Travaglio e Peter Gomez, 70 dei 945 parlamentari eletti nel 2008 sono sotto inchiesta o condannati per sentenze penali. Inoltre, le élites politiche italiane sono arroccate, perciò vi è poco ricambio al vertice. Molti membri delle due Camere hanno parecchi mandati alle spalle. Se Berlusconi corresse alle prossime elezioni, come ha lasciato intendere di voler fare, otterrebbe il suo sesto mandato parlamentare dal 1994. A dire il vero, l’Italia è diventata un Paese per vecchi. Monti ha 69 anni, Berlusconi ne aveva 75 quando si dimise lo scorso novembre; e nessuno dei possibili candidati per la carica di Primo ministro ha meno di 60 anni. I parlamentari con meno di 40 anni sono solo il 7% delle assemblee. E le donne sono appena un quinto del Parlamento e il 15% dell’attuale esecutivo.
 
Terzo, poiché i cittadini reagiscono alla corruzione endemica protestando contro i partiti politici tradizionali, la popolarità dei demagoghi aumenta. Sia Berlusconi che Umberto Bossi, l’ex leader della Lega Nord, iniziarono le loro carriere politiche con programmi che combinavano populismo, difesa delle corporazioni, euroscetticismo e anticentralismo. Più di recente, l’ex comico Beppe Grillo ha portato il Movimento populista anti-corruzione “Cinque Stelle” a grandi risultati alle amministrative, e promette un exploit simile, se non migliore, alle elezioni generali dell’anno prossimo.
 
Quarto, i conflitti di interessi che hanno accompagnato per 20 anni la figura di Berlusconi non sono stati risolti. A differenza di altre democrazie, l’Italia non ha i “firewalls” per impedire che i pubblici uffici siano utilizzati per difendere interessi privati. Per questo la porta è aperta a chi vede il servizio pubblico politico come via per il vantaggio personale.
 
E infine, mentre ci sono italiani e italiane capaci e meritevoli a rappresentare l’Italia nelle organizzazioni multilaterali e internazionali, con poche eccezioni i migliori talenti del Paese non siedono sui banchi del Parlamento. L’élite politica italiana è provinciale e chiusa in se stessa, con poca esposizione ed esperienza internazionale. Nel mondo globalizzato di oggi, questa non solo è una stranezza, ma è un fattore che riduce la rilevanza internazionale di un Paese.
 
L’eccezionalismo politico italiano è causato dal graduale declino del sistema istituzionale nazionale. Nei primi anni ’90, dopo che “Mani Pulite” scoperchiò il clientelismo sistematico, la corruzione e la cattiva gestione delle risorse pubbliche da parte dei partiti tradizionali, l’agenda di Berlusconi bloccò ogni tentativo di avviare un rinnovamento istituzionale. Ne conseguì un aumento del debito dal 60% del Pil nel 1981 al 120% nel 1995 (debito che rimane oggi ben sopra il 100%).
 
Il processo di rinnovamento avviato 20 anni fa deve essere ripreso per salvare l’Italia dal collasso economico. Ma distruggere lo status quo potrebbe portare ad una notevole instabilità politica. In un momento in cui la riduzione dell’incertezza e il rafforzamento della fiducia dei mercati sono priorità in tutta Europa, questa potrebbe non essere un’opzione desiderabile. La minaccia dell’instabilità potrebbe perpetuare l’inerzia italiana. Il governo tecnico di Monti ha mostrato che l’Italia può comportarsi come un Paese normale. I partner europei dell’Italia devono incoraggiare, piuttosto che bloccare, gli sforzi del Paese per rompere con il proprio passato. Nella misura in cui la soluzione della crisi europea richiede un impegno credibile sul fronte della sostenibilità fiscale, l’Europa ha bisogno di un’Italia che sia un partner sano e affidabile dal punto di vista istituzionale.
 
© Project Syndicate 2012. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia
 
Paula Subacchi, responsabile per l’economia internazionale alla Chatham House di Londra.

L'Italia e il ritorno all'affidabilità istituzionale

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