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L’intervista di Silvio Berlusconi uscita ieri sul Giornale ha indubbiamente un’enorme importanza, sebbene ovviamente non sia intelligente attendersi novità sensazionali da un politico che si presenta per la sesta volta come leader di Governo. Dal punto di vista pubblico siamo davanti al più deciso manifesto d’intenti del Cavaliere degli ultimi mesi, particolarmente interessante soprattutto perché fatto a casa propria, ossia nel quotidiano di cui è editore. Per questo, malgrado non vi sia ancora un’investitura dichiarata ufficialmente, l’intervento deve essere preso in serissima considerazione.
 
Ritornano, presentati con la spavalderia di sempre, gli antichi adagi anti fiscali, in questo caso riguardanti non solo l’IMU nazionale, ma l’intero Fiscal Compact europeo. Non è, d’altronde, una stupefacente rivelazione l’opposizione frontale di Berlusconi al nemico-tasse, sebbene indubbiamente egli tocchi qui il nervo scoperto più doloroso degli italiani, cercando di sintonizzandosi totalmente con la pancia dei cittadini. L’IMU, d’altra parte, ha goduto di un’impopolarità tale da spingere il Governo Monti, accolto all’inizio come una manna dal cielo, ben presto lontano dai cuori e dai sentimenti democratici dei cittadini. Il fatto, quindi, che Berlusconi gridi alla sua abrogazione è particolarmente emblematico, e tradisce una tremenda voglia di riscossa, uno stato emotivo di cui Silvio è stato sempre un interprete d’eccezione. Segnala, per di più, che il PDL rientrerà su antiche rotte, le quali, sebbene ormai molto battute, non è detto che non trovino il loro sicuro riscontro popolare.
 
Fanno la comparsa, inoltre, due considerazioni nuove, di tipo corrente. L’una riguardante Grillo e il suo crescente montare di consenso, non solo mediatico, e l’altra le riforme costituzionali.
 
Al primo Berlusconi riconosce la bravura del comico, limitandone però l’ascesa alla sola abilità di tener scena come strepitoso menestrello. Essere bravo in battute, in effetti, non significa esserlo altrettanto a governare anche una piccola provincia. Figuriamoci il Paese. Sulle riforme, invece, Berlusconi invoca l’antico canto della Repubblica ingovernabile senza un esecutivo forte.
 
Bene. Si potrebbero fare tante riflessioni anche solo su questi ultimi temi d’attualità. Mi vengono in mente solo due osservazioni di carattere generale. La prima è positiva. Se Berlusconi se la sente ancora, e soprattutto se sa che può avere personalmente un consenso diciamo del 10 – 15 per cento, non soltanto fa benissimo a tornare nuovamente in pista, ma è altrettanto corretto che dica quanto pensa realmente e in modo trasparente. Non soltanto è un suo diritto, ma è onesto farlo in questo modo, essendo forse perfino consigliabile non improvvisarsi politicante, specialmente dopo quanto gli è accaduto e l’ha costretto alla resa.
 
La seconda considerazione riguarda Grillo. L’accusa di essere divertente è un po’ strana e tradisce più di quanto non voglia il passare del tempo e la debolezza di questa sua ennesima ricandidatura. Quello che il Cavaliere dice sul mestiere è esattamente quello che si sussurrava di lui vent’anni fa come imprenditore e suonatore di piano. Perciò lascia un po’ attoniti, suonando perfino come una stravaganza di cattivo gusto.
 
Per la riforma costituzionale, viceversa, in modo particolare per chi, come il sottoscritto, è totalmente d’accordo sul suo essere priorità, bisognerebbe ricordare che non basta enunciare un principio giusto, ad esempio quello di rafforzare l’esecutivo, se si è governato in modo plenipotenziario per dieci anni, non cambiando niente dell’architettura istituzionale dello Stato. E’ fondamentale, invece, dimostrare che adesso si vuole veramente mutare la Costituzione, dicendo come e con quali realistici mezzi s’intende procedere. Gli strumenti in questo frangente non sono gli usi tattici ma le teste pensanti che si vogliono impiegare e coinvolgere nell’impresa. Mica penserà di fare di nuovo tutto da sé, magari con qualche bella e imbecille comparsa. Perché in tal caso non ha capito niente dei suoi errori più gravi. Ed è inutile che raccolga le forze per tornare, perché perderà di sicuro la partita, prima o dopo le elezioni.
 
E’ importante, in fin dei conti, se si vuole cambiare la Costituzione solo una cosa: pensare come cambiarla, e poi cambiarla davvero. Non facendo finta che tutti coloro che ne hanno parlato in questi mesi siano niente, solo perché hanno molto meno potere ed influenza mediatica.
 
Le mie sono solo sfumature, dai contorni però molto nitidi. Nessuno dice, tranne qualche falso ingenuo, che in democrazia possa esserci altro motivo di pensionamento che non sia la fine del consenso. Però è importante avere uno stile non dico nuovo, ma perlomeno in grado di aver compreso e tener presente alcuni dei gravi sbagli che sono stati fatti in questi anni. Cercando, se non altro, almeno di non ripeterli di nuovo proprio tutti e allo stesso modo.

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