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Coraggio. E un pizzico di qualità in più nella scelta della classe dirigente. Non serve altro alla governance europea per sedere in prima fila al tavolo dei dossier che contano. Non fosse altro per la statura del vecchio continente che, nonostante acciacchi e contingenza economica grave, non deve smarrire la strada maestra che la porti a essere interlocutore e non spettatore del panorama mondiale.
 
“Tendiamo a credere di non poter fare molto per cambiare il modo in cui vanno o sono fatte andare le cose”, ha scritto Bauman in Modernità liquida e non sbaglia. Proprio raffrontando quell´osservazione alle dinamiche offerte dall´attualità (si veda la gaffe della Ashton sul caso marò) ci si accorge come il dovere di stimolare al meglio non debba venir meno, anche per chiarire un punto non secondario all´interno del dibattito sull´Ue: chiedere più Europa, avanzare rilievi al modus operandi, sforzarsi di rimodulare l´infrastruttura politica, sociale e culturale continentale non significa tifare per l´antieuropeismo. Anzi. Quello spirito critico, che magari si rifà agli spunti originari di giganti continentali come Spinelli, Rossi, d´Estaing sia punto di partenza per nuove proposte e per evitare gli errori commessi sino a oggi.
 
Anche per chi forse dovrebbe mettere in discussione condotte e azioni che non hanno prodotti i risultati auspicati. Cosa impedisce al continente di sedere in pianta stabile al tavolo “triangolare” di un G3 con Cina e Usa? Come ridisegnare in maniera univoca le strategie geopolitiche nel continente africano, dove i cinesi hanno anticipato tutti chiudendo importanti accordi per lo sfruttmento di materie prime? In che misura contemplare una normativa efficace e attenta ai diritti umani sui fenomeni migratori? E, rivolto ai singoli stati (come le quote latte insegnano) come impedire contrasti evidenti con le disposizioni dell´Unione? Sono alcuni dei nodi che la classe dirigente europea dovrà impegnarsi ad affrontare e risolvere, possibilmente in maniera efficace e in tempi brevi.
 
In un momento in cui un quotidiano come Le Monde sponsorizza il “professor” Monti alla guida dell´eurogruppo (Juncker ha già annunciato l´addio al termine del suo mandato, che scade a luglio), non si può non interrogarsi sul bisogno di giganti, proprio nella cabina di comando della macchina europea. Ma non per un senso di rivalsa nei confronti delle altre superpotenze, bensì per amministrare con sagacia e lungimiranza paesi che hanno ancora molto da dire, nonostante i declassamenti delle agenzie di rating e le pressioni mediorientrali.
 
A volte sembra che l´Unione non sia tale e i suoi interpreti suonino ognuno uno spartito con regole disomogenee. Ferma restando la necessaria compartecipazione di visioni e di esperienza differenti, perché in quanto tali utili ad arrichire la proposta politica dell´Ue, sarebbe opportuno soprattutto su dossier caldi come la politica estera mostrare un piglio deciso e unitario. E un sistema di regolamentazioni che non mortifichi i più deboli, come è ancora oggi la percezione dell´euro, non proprio la stessa ad Amburgo e a Canicattì. Non può esistere una libertà illimitata, ammoniva Giovanni Paolo II. Nel senso che, nel rispetto delle peculiarità dei singoli, non può mancare una sorta di rete protettiva, che assicuri uguaglianza di fronte alle leggi e alle opportunità di crescita. Solo inq uesto modo sarà possibile realizzare il sogno dei padri fondatori chiamato Stati Uniti d´Europa. Contrariamente sarà solo ordinaria (e noiosa) amministrazione.
 
Twitter@FDepalo

Coraggio, serve più Europa

Coraggio. E un pizzico di qualità in più nella scelta della classe dirigente. Non serve altro alla governance europea per sedere in prima fila al tavolo dei dossier che contano. Non fosse altro per la statura del vecchio continente che, nonostante acciacchi e contingenza economica grave, non deve smarrire la strada maestra che la porti a essere interlocutore e non…

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