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Continua l’incubo. Un incubo iniziato nel lontano 1993. Ciudad Juárez non è ancora uscito dal dramma che ha ucciso e fatto scomparire centinaia di donne. In un rapporto pubblicato ad agosto del 2010, la “Fiscalía Especial para la Atención de Delitos Relacionados con los Homicidios de Mujeres” del Juárez aveva segnalato la cifra di 379 donne assassinate e 4.456 scomparse tra il 1993 e il 2005.
 
Le cifre (ufficiali) più modeste parlano di duemila donne ammazzate. Altre più realistiche, più di 5000. Tutte di classe umile, operaie nelle “maquiladoras”, fabbriche di assemblaggio dove per pochi soldi lavorano tutte la giornata. Con un solo permesso per andare in bagno. Tutte con la stessa tipologia fisica, tutte vittime delle stesse atrocità prima di morire.
 
E il peggio è che il dramma continua in totale impunità. Le indagini non hanno portato nessun risultato. Nessun indagato, ancora meno nessun detenuto. Recentemente, la città più pericolosa del mondo, vive un altro capitolo di questo incubo della violenza. Sono stati ritrovati 50 corpi non identificati con più di un anno di scomposizione nell’obitorio.
 
Il governo ha detto che volevano “vegliare le evidenze”, il che ha fatto indignare i famigliari. Mentre un gruppo di organizzazioni civili interpretano questa omissione come una mostra di complicità delle autorità verso gli assassinati in questa zona di frontiera con gli Stati Uniti, che è stata anche condannata da una sentenza della Corte Interamericana di Diritti Umani.
Narcotraffico? Tratta di donne? Molto probabilmente, anche gruppi politici e autorità di livello sono coinvolti. O almeno restano colpevoli per la mancanza di difficoltà nel gestire il fenomeno.
 
Jlo e la ridiculizzazione di un dramma
 
Nel 2006 la cantante e attrice (!) Jennifer López è stata protagonista e produttrice del film “Bordertown” di Gregory Nava ispirato ai crimini di Juarez. Nella storiella, López è una giornalista d’origine ispano, ma cresciuta negli Stati Uniti, che viene inviata dal suo giornale in una cittadina messicana per fare un’inchiesta sulle morti misteriose di molte ragazze che lavorano nelle fabbriche. La protagonista vuole soltanto la promozione e delle giovani assassinate nulla può importarle.
 
Mentre porta avanti la ricerca però viene toccata da una storia in particolare che la coinvolge e la fa tornare a quelle che sono le sue radici umili e latinoamericane. L’immagine che rinchiude la scena è quando Jlo versa sul lavandino il prodotto con cui doveva tingersi i capelli di biondi e torna ad essere mora. Ovviamente, nel frattempo conosce anche un affascinante Antonio Banderas (nel ruolo del direttore di un quotidiano di provincia) con cui è subito amore. Il film è stato considerato in Messico e nel resto del Centroamerica come una presa in giro. Era la banalizzazione del dramma reale, quello dei femmicidi di Juárez. ù
 
Oltre a rifiutare che il film fosse stato fatto in Ciudad de Juárez, associazioni delle vittime hanno manifestato alle porte dei cinema contro questa produzione che, al posto di denunciare i crimini e chiedere giustizia, ne fa soltanto spettacolo. Una volgare telenovela firmata Jlo.
 
@rssmiranda

Ciudad de Juárez. Dove essere donna è una condanna a morte

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