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Il trasporto su gomma ha corretto gli effetti accentranti della ferrovia, favorendo una più ampia diffusione degli insediamenti e degli scambi. Il trasporto individuale ha consentito una libertà quasi totale di collocamento, favorendo sia una maggiore divisione del lavoro, sia schemi abitativi più piacevoli e senza di esso impensabili. In oltre un secolo di crescente penetrazione, ha talmente influenzato l’utilizzo del territorio, le strutture produttive, le abitudini di vita, da costituire un condizionamento la cui cogenza è passata a lungo inosservata. Si è cominciato a percepirla quando il successo del paradigma è diventato eccessivo.
 
È bello abitare fuori città, spendendo meno, e ritornarci dopo il lavoro; ma se troppe persone vogliono farlo, contemporaneamente e nella stessa area, la libertà di movimento scompare. Il trasporto pubblico sarebbe più efficiente, sia in termini di costi per km/persona o km/tonnellata, sia in termini ambientali: ma il singolo che prova a passare a quella modalità constata che il territorio si è organizzato presupponendo l’uso dell’auto. Provate a uscire di casa, accompagnare un bambino a scuola, lasciare le camicie in lavanderia, andare in ufficio, visitare alcuni clienti, andare in palestra, comprare da mangiare e tornare a casa, tutto con i mezzi pubblici, portandovi dietro carte, computer, camicie, sacca da ginnastica e sporta della spesa, e scoprirete che non ce la fate. Se avete un’azienda e dovete consegnare un pezzo di ricambio urgente, probabilmente ricorrerete a un trasporto singolo: perché non avete avuto convenienza a organizzarvi in modo alternativo.
 
Per pensare seriamente alla mobilità sostenibile in una società sviluppata e sofisticata, a elevata specializzazione professionale e aperta agli scambi di merci, servizi e persone con il resto del mondo, bisogna partire da due prese d’atto: i) le scelte di trasporto adottate dai singoli sono in larga parte razionali, date le opzioni che sono loro disponibili; ii) l’offerta di sistemi di trasporto deve soddisfare le esigenze del sistema sociale e produttivo. Consideriamole come due binari, sui quali bisogna avanzare parallelamente.
 
Così, si possono modificare i comportamenti dei singoli incentivandone alcuni e penalizzandone altri, ad esempio scoraggiando l’accesso in auto al centro; l’effetto collaterale indesiderato sarà la riduzione di attività pregiate, che si reggono su clientela che può accedere rapidamente da una vasta area, e lo sviluppo di fast food e jeanserie. Ma l’effetto sarà migliore se si offriranno sistemi alternativi di trasporto e se nel contempo il sistema dei servizi e del commercio comincerà a offrire modalità che non prevedono un cliente fornito di auto con bagagliaio (per esempio acquisti domestici sul web e consegna a domicilio dopo le 20, disponibile a Londra; palestre e asili vicino agli uffici o nelle aziende; servizi disbrigo pratiche).
 
Il doppio binario è importante: tanto più si rende conveniente rinunciare all’auto, tanto più rapidamente sorgeranno servizi alternativi, incoraggiando ulteriori rinunce all’auto. Ma non sarà possibile, né socialmente conveniente, eliminare ogni forma di traffico privato urbano. In queste cose il mercato è efficientissimo: un aumento del costo del comportamento che si vuole limitare espelle immediatamente gli usi antieconomici e fa germogliare alternative. Va in questa direzione l’idea che non si possa circolare in certe aree urbane con la stessa auto che si usa per i viaggi lunghi o per i safari: lo sviluppo di auto ecologiche sarebbe accelerato se non si chiedessero loro queste stravaganti prestazioni.
 
Nessuna soluzione da sola regge. Non si supera in pochi anni un paradigma che ha plasmato la città, il suo modo di vivere e di produrre. È tuttavia evidente che l’asse portante di un paradigma alternativo, dal lato dell’offerta, è il trasporto pubblico, per la sua capacità di addensare il servizio minimizzandone i costi spaziali, ambientali ed economici. Con in più una molto maggiore versatilità in termini di energie primarie e secondarie utilizzabili. L’offerta però deve cambiare, per soddisfare le esigenze sociali e produttive, combinandosi con l’evoluzione dei mezzi privati e delle strutture produttive e di servizio.
 
Troppo spesso il trasporto pubblico assomiglia a una riedizione di quello che era prima della diffusione dell’automobile: più veloce, ma sempre concepito come il rimedio per chi l’auto non ce l’ha. Invece il trasporto pubblico deve essere progettato per chi aspira a liberarsi il più possibile dai condizionamenti dell’auto, per avere un servizio migliore. E in funzione della valorizzazione del territorio: renderlo facilmente e rapidamente raggiungibile dal resto del mondo, a cui vogliamo vendere idee, servizi e merci; renderlo piacevolmente fruibile; renderlo efficiente e competitivo, minimizzando i tempi morti negli spostamenti.
 
Il mezzo pubblico su sede propria, sebbene assai costoso in termini di investimenti fissi, dà rendimenti ineguagliabili in termini di valore d’uso, se adeguatamente combinato con altre modalità di trasporto e con altri servizi. Bisogna permettere al suo utente di ottenere una capillarità di combinazioni origine-destinazione, e una frequenza, che consentano flessibilità vicine a quelle del trasporto privato, sottraendolo, per la maggior parte del tempo, all’occupazione competitiva della strada. La risposta non può che arrivare da una combinazione tra mezzi di trasporto diversi e tra utenze individuali, servizi privati e pubblici.
 
La conquista della sostenibilità richiederà comunque di affiancare alla nuova offerta una modifica della domanda, per una città che non potrà più supporre l’uso dell’auto, da parte di tutti e per ogni esigenza. Una città nuova, la cui architettura dipenderà anche dalle offerte di trasporto, o di alternativa al trasporto, che saranno sviluppate.

Una cura per gli autodipendenti

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