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Caracas ha una temperatura ideale dopo le sette di sera. Il sole cala e la brezza dei Caraibi che viene da dietro la montagna dell’Avila (barriera verde tra la costa e la città) rinfresca l’ambiente con l’aria di mare. La musica e le risate sono ovunque. Nonostante le difficoltà, la gente non smette di vivere.
 
Ma non si vive tranquilli e spensierati come prima. Le dinamiche, logistiche e mentali, sono cambiate. La paura è perenne. In questo paese tropicale, dal clima fortunato e dalle risorse sconfinate, la gente non può più uscire di notte. Le feste si fanno al chiuso, sempre attenti. Le ragazze che si avventurano ad andare nei locali, non vanno in bagno tra ragazze, come è abitudine universale, a raccontarsi gli sguardi della notte mentre si truccano. Ma vanno scortati dagli amici maschi altrimenti, non si sa dove si può finire. Meglio non rischiare in una metropoli dove ci sono circa 16 sequestri lampo al giorno.
 
L’insicurezza a Caracas, e non solo, ha raggiunto livelli insostenibili. Solo nel 2011 sono state uccise 18850 persone in tutto il paese. Secondo le cifre ufficiali. Il calcolo è allarmante: una persona ogni trenta minuti. Più morti di quelli della guerra in Iraq, come ha segnalato l’Osservatorio Venezuelano della Violenza (Ovv). E la tendenza è solo a peggiorare. Nel 2012, sono morte altre 1.347, d’accordo al rapporto del ministro dell’Interno e la Giustizia, Tareck El Aissami.
 
All’aumento della criminalità si somma l’impunità. Sempre l’Ovv segnala che per ogni 100 crimini, in Venezuela ne vengono puniti soltanto otto. Il che vuole dire che un delinquente che prende una pistola in mano e spara sa che ha solo 92% di finire in processo. Il Venezuela è quindi tra paesi più violenti al mondo e tra i dieci con più sequestri; è il terzo con più omicidi e l’undicesimo più corrotto. Circa 52% della cocaina che parte per l’Unione europea e gli Stati Uniti usa come ponte il paese sudamericano.
 
È il governo cosa ha fatto? Dare la colpa ai governi passati, più di tredici anni fa, e minimizzare il problema come “una sensazione di insicurezza”, come ha dichiarato il ministro dell’Interno. Come se le statistiche fossero una percezione e non corpi e storie senza vita. In questi anni di amministrazione del “chavismo” sono passati circa 13 ministri dell’Interno e sono stati messi in atto più di 20 programmi di sicurezza. Il risultato è stato più che fallimentare: catastrofico. Più che fondi, con il prezzo del petrolio alle stelle, a mancare sembra essere la disposizione e la capacità di gestione.
 
#FuerzaOnechot
 
“Let me introduce you to Caracas, embassy of hell/ land of murderers and shattas/ Hundred people die every week/ we nuh live in war/ country is full of freaks/ We have more death than Pakistan, Libano, Kosovo , Vietnam and Afganistan”. Con la canzone Rotten Town OneChot, nome d’arte del cantante Juan David Chácon, denunciava la violenza a Caracas. Un video molto forte che è stato censurato dal governo venezuelano ad agosto del 2010. Si accusava all’artista di incitare, appunto, alla violenza. Come se nominare un flagello che esiste, colpisce, fosse darle vita e non provare a guardarlo in faccia per scongiurarlo.
 
“Too much blood comes around/ And Babylon system try to study my ground/ Too much blood goes around/ And wicked system try to study my ground”. Un anno e mezzo dopo, Onechot è stato vittima di quella criminalità che non ignorava. Volevano toglierli la macchina, di notte a Caracas, e l’hanno sparato in mezzo alla fronte.
 
Ma OneChot, miracolosamente, non è morto. Si batte contro la vita e la morte nella sala di terapia intersiva della Clinica Sofia di Caracas. I suoi fan sono in una piazza vicina pregando e cantando per la sua guarigione. Su Twitter il l’hastag #FuerzaOnechot è tra i “trending topic”. Molti lo rimproverano: “perché sei uscito di notte?” perché hai messo resistenza?”, ma la vita senza libertà non era per lui e così non si resiste a lungo. E Caracas, soprattutto di notte, è una citta da vivere senza paura.
 
@rssmiranda

Venezuela, un paese strangolato dalla criminalità

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