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 Il Paese è in affanno e ha bisogno di una scossa. Dopo un decennio di crescita economica tra le più basse in Europa, emerge in maniera evidente il ritardo maturato dall´Italia nell’adozione dell’economia digitale. I dati sono impressionanti. Secondo le stime della Commissione europea, nello scorso decennio, almeno il 50% della crescita di produttività nell’Unione è riconducibile alla crescita del settore Ict e all’utilizzo dell’Ict da parte di imprese, Pubblica amministrazione e cittadini. Ma se si analizzano i dati relativi all’Italia, ci si accorge che il Paese è il fanalino di coda in quasi tutti gli ambiti strategici di questo settore: dalla penetrazione della banda larga all’adozione dell’e-commerce da parte delle imprese; dagli investimenti in ricerca e sviluppo alla diffusione del venture capital per la creazione di imprese ad alto valore tecnologico; dall’alfabetizzazione di cittadini, alla formazione di competenze professionali qualificate.
 
Purtroppo, da troppo tempo, almeno un quindicennio, il dibattito attorno a questo tema, in particolare in ambito politico, è stato incentrato attorno ad una “narrazione” che ha visto come protagoniste l’infrastruttura di rete e i servizi della Pubblica amministrazione. Ciò non deve sorprendere dal momento che sono proprio queste due questioni che stanno a cuore maggiormente – e legittimamente – ai principali soggetti che operano nella Ict italiana: le Tlc e le grandi aziende di system integration. Tuttavia, il tema ha una portata molto più vasta e interessa pressoché ogni ambito della vita economica e sociale di un Paese. Pensare, ad esempio, alle sole infrastrutture, senza pensare a tutto ciò che si muove sopra, è più che sbagliato. È terribilmente pericoloso. Sarebbe un po’ come pensare di costruire autostrade a sei corsie per farci viaggiare solamente camion francesi e tedeschi che trasportassero prodotti made in Usa o China. Dobbiamo renderci conto che la crescita della disponibilità di banda, combinata con l’ulteriore apertura dei mercati, così come previsto negli obiettivi strategici dell’Unione europea per il periodo 2010-2020, ci sottopone alla prospettiva di una tempesta perfetta con effetti potenzialmente devastanti su tutte le realtà nazionali che cercano di sviluppare servizi innovativi e competitivi. L’infrastruttura è fondamentale e l’apertura dei mercati offre grandi benefici a imprese e cittadini, ma questi ultimi devono essere messi in condizione di giocare un ruolo attivo nella partita. Qui si evidenzia il nostro maggiore ritardo.
 
D’altro canto abbiamo anche uno straordinario potenziale, tutto da sviluppare, rappresentato da milioni di piccole e medie imprese, interi settori che potrebbero incrementare in maniera drammatica efficienze e mercato se solo fossero messe in condizione di sfruttare a pieno gli strumenti resi disponibili dallo sviluppo tecnologico. Ma guai a pensare che basti solo portare una connessione a banda larga per risolvere il problema. Anche qui, l’esperienza italiana sta assurgendo a paradigma. A fronte di una copertura di banda larga sul territorio tra le più alte in Europa, la diffusione dell’utilizzo di Internet e dei servizi digitali presso imprese e cittadini rimane tra le più basse. Vi è chiaramente un problema di competenze professionali e di alfabetizzazione, ma ancor di più di consapevolezza sui reali benefici che il digitale può portare per la vita economica e civile di persone e comunità. Vi è inoltre un’incapacità di fare sistema, requisito essenziale per poter pensare ad un reale dispiego dell’intero potenziale di un’economia digitale.
 
Per partire occorre finalmente porre questo tema al centro del dibattito nazionale, come avviene già negli altri maggiori Paesi avanzati (e non solo). Questo tema merita la stessa rilevanza di pensioni, fisco, lavoro, impresa, giustizia, salute, democrazia. Del resto, come pensiamo di sostenere le nostre future pensioni, il lavoro, le imprese, la stessa efficienza della Pubblica amministrazione e la salute dei cittadini se non siamo in grado di creare un’economia digitale? E che Internet abbia anche una profonda rilevanza per la democrazia, ce lo ricordano in questi ultimi mesi le vicende cui assistiamo in Nord Africa.
 
Per questo motivo, lo scorso 31 gennaio, dalle pagine del Corriere della Sera, un gruppo di esperti, imprenditori, manager e professionisti hanno deciso di lanciare un appello rivolto, in primo luogo, alla classe politica perché questo tema venga posto al centro della discussione e del confronto tra schieramenti e partiti. Più precisamente, l’appello, che può essere sottoscritto su www.agendadigitale.org e a cui hanno già aderito oltre 20mila cittadini, si rivolge a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, perché si facciano delle proposte concrete entro i primi 100 giorni dalla data dell’appello. Sono già tanti i politici che hanno accolto positivamente la sfida: Casini, Barbareschi, Gentiloni, Rao, Lanzillotta, Valducci, solo per fare alcuni nomi. Il ministro Brunetta ha accolto l’appello con grande interesse, aprendo da subito ad un confronto. Si sono aggiunti il vice presidente del Parlamento europeo Gianni Pittella e, soprattutto, il vice presidente della Commissione Ue Neelie Kroes, che ha la delega sull’agenda digitale europea. A dire il vero, tuttavia, il problema nel nostro Paese non è che la politica non si interessi del digitale. Purtroppo, in passato, la politica se ne è occupata, compiendo errori grossolani, quando non disastrosi. Il caso del wi-fi, su cui si è così tanto parlato recentemente, rappresenta l’esempio emblematico di un errore commesso anni fa a cui, ancora oggi, non si è riusciti a porre finalmente rimedio. Di qui il nostro appello affinché, al di là delle posizioni, che possono senz’altro essere diverse, quando non in aperto conflitto, la politica metta questo tema al centro della propria riflessione, assumendone pienamente la responsabilità, dinnanzi a tutti i soggetti interessati, a partire dai cittadini.
Il nostro sogno è che, alle prossime elezioni, anche questo tema sia uno dei principali di confronto per le campagne di ciascuno schieramento.

La scommessa da non perdere

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