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Il governo ha ritrovato la fiducia delle Camere, eppure la sensazione è che il quadro politico sia sensibilmente cambiato. Un anno fa, il miraggio era un governo di legislatura. Oggi, è un esecutivo di transizione. Stessi ministri, stessa maggioranza, diversa missione. Una contraddizione, forse. L’impressione però è che né la maggioranza né l’opposizione abbiano colto l’opportunità della crisi per fare un salto di qualità. Tutto il dibattito è ruotato attorno alle formule politiche: allargamento della maggioranza, governo istituzionale, ritorno alle urne. Lo stesso Romano Prodi ha indicato nella riforma della legge elettorale ‘l’assoluta priorità’. Difficile dargli torto: il sistema elettorale che si sceglierà sarà fondamentale per determinare e favorire il quadro politico futuro. Una nuova legge è molto ma non è tutto.

La crisi di questo bipolarismo, la lunga transizione, è frutto di una visione per cui si debbano formare coalizioni in grado di battere l’avversario (il demone Berlusconi o i cattivi comunisti). L’issue fondamentale è la definizione del ‘nemico’ e non il programma. Le conseguenze sono quelle che vediamo ogni giorno: esibizioni muscolari ed alleanze come l’Arca di Noè. Si può dire che questa crisi abbia determinato le premesse per un cambio di rotta? Francamente no. Ciascun cittadino potrà essere lieto o triste dell’esito della fiducia, ma la novità proprio non si vede. Sarebbero servite parole coraggiose, scelte chiare. Rifugiarsi nell’autoreferenzialità del Palazzo, tentare di blindare una classe dirigente in affanno, fa parte dell’istinto di autoconservazione. E’ comprensibile ma non condivisibile. Le domande dei cittadini, le esigenze delle imprese, dei lavoratori, delle famiglie, dei giovani, degli immigrati sono impellenti e pensare di offrire risposte sulla base delle categorie politiche degli anni ’70 è illusorio. Quale visione del ruolo dello Stato nell’economia, nelle relazioni internazionali, nelle scelte della vita privata? I temi di oggi non possono essere elusi con l’uso di una stanca retorica del Novecento. La legge elettorale è importante, ma – ripetiamo – non basta. La scorsa legislatura si era arrivati a trovare una soluzione condivisa dai due Poli sulla redefinizione del Titolo V della Costituzione. L’attuale infatti ha prodotto per i cittadini più danni che benefici. La riforma del centrodestra però conteneva molte altre materie, motivo di scontro politico. Alla fine, con l’acqua sporca è stato buttato anche il bambino.

Oggi è venuto il momento di rianimare quel bambino. Di lavorare affinché gli eletti producano soluzioni che favoriscano gli elettori, il loro Paese. Il passaggio che viene chiesto è di passare da coalizioni sterili e troppo eterogenee a coalizioni in grado di proporre e realizzare scelte, decisioni. La suggestione di una coalizione dei Volenterosi nasce da queste osservazioni. La crisi di questi giorni e la precarietà dei prossimi non attenua il senso di questa idea, anzi ne rafforza la missione. E’ giusto che partiti e leader discutano del sistema politico in quanto tale, che definiscano le regole sul voto (e sulla loro rielezione). E’ doveroso però non bloccare il Parlamento, trasformandolo in un pantano. Noi, per parte nostra, cercheremo di fare sentire la nostra voce con proposte concrete. Abbiamo l’ambizione che i Poli, per una volta, si dividano sui contenuti e non sui contenitori. E’ una strada tutta in salita, ma nulla è davvero difficile se lo si vuole.

La fiducia c'è. Il resto manca

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