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Con la grandeur tipica dell’uomo e della nazione di cui quell’uomo era il frutto, nelle sue memorie Charles De Gaulle la mise così: “La Francia viene dalla notte dei tempi. La Francia vive. I secoli la chiamano. Ma rimane se stessa attraverso le epoche”. La Francia, dunque, resta se stessa. Ed è così che tra ieri e oggi i principali giornali italiani ed europei hanno interpretato il senso profondo del viaggio di Macron in Cina e le sue dichiarazioni su Stati Uniti ed Europa.

È stato ricordato il veto che De Gaulle pose nel ‘63 all’ingresso del Regno Unito nella Comunità europea. È stata ricordata la traumatica uscita della Francia dalla Nato nel ‘66. È stato ricordato lo scetticismo francese nei confronti delle guerre di George W. Bush dopo l’11 settembre. È stato ricordato che al referendum nel 2005 il 55% dei francesi votò contro il Trattato costituzionale europeo. È stato ricordato l’attacco alla Libia nel 2011 come memento del fatto che “i francesi si fanno sempre i fatti loro”. Tutto vero. Come è vero che dal gollismo al macronismo una cosa all’Eliseo non è cambiata: l’idea che l’Europa unita possa esistere solo se ruota nell’orbita francese. Questi sono i sentimenti, questa la retorica. Ma tutto ciò non basta per mettere in discussione le affermazioni di Macron. Come dargli torto quando afferma che “l’Europa non ha ancora costruito la propria autonomia strategica”? Come dargli torto quando dice che “gli europei non sono in grano di risolvere la crisi in Ucraina” e pertanto “come possiamo dire in modo credibile a Taiwan: attenzione, se fate qualcosa di sbagliato noi saremo lì”?

Certo, Macron coltiva gli interessi francesi e con tutta evidenza il suo viaggio in Cina è servito ad accreditare una cinquantina di aziende del suo Paese più che la politica estera di Joe Biden. Ma Macron è all’ultimo mandato, sogna pertanto di passare alla Storia. Ed è in questa chiave che va letto il suo disperato appello agli Stati europei affinché si diano quell’unità politica e militare resa imprescindibile dagli eventi internazionali.

Pur criticando il presidente francese ed esibendo uno scetticismo gonfio di realismo sulla capacità e sulla volontà degli Stati membri di dare sostanza politica al sogno europeo, Angelo Panebianco sul Corriere della Sera mette il dito nella piaga: “Che faremmo se un giorno gli Stati Uniti decidessero che l’alleanza con l’Europa non è più per loro una priorità?”. Non avendo forza militare non potremmo avere una politica estera, dunque potremmo solo assoggettarci al potente di turno: la Cina o la Russia. La missione è quasi proibitiva, ma l’Italia, Paese debole che più di altri ha interesse ad un’Europa unita e forte, può fare solo una cosa: dare una sponda alla Francia in linea con il Trattato del Quirinale, e fare il possibile affinché l’Europa si doti di quella “autonomia strategica” la cui mancanza è stata denunciata da Emmanuel Macron. Si può essere filoeuropei senza essere antiamericani.

Si può essere filoeuropei senza essere antiamericani. Il corsivo di Cangini

Macron coltiva gli interessi francesi e con tutta evidenza il suo viaggio in Cina è servito ad accreditare una cinquantina di aziende del suo Paese più che la politica estera di Biden. Ma Macron è all’ultimo mandato, sogna pertanto di passare alla Storia. Ed è in questa chiave che va letto il suo disperato appello agli Stati europei. Il commento di Andrea Cangini

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