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Le si potrebbero chiamare lezioni americane. E, forse, in effetti lo sono. Il fatto è che, come raccontato a più riprese da Formiche.net, la crisi di due importanti ma non primarie banche statunitensi, Svb e First Republic, si è risolta in un tempo relativamente breve. Tempo 3-4 giorni, buco da 20 miliardi di dollari su cui il governo ci dovrà mettere una toppa a parte e i due istituti sono stati messi in sicurezza da Washington, per mezzo del Fondo federale per la tutela del risparmio.

Non è possibile dire lo stesso della Cina. Il Dragone di guai con le banche ne ha molti, soprattutto a livello locale. Alcune sono saltate per aria, altre sono sopravvissute ma a caro prezzo: per esempio congelando i soldi dei correntisti per riservarsi quel capitale altrimenti assente. In un verso o nell’altro, la differenza è tutta qui. Se negli Stati Uniti i risparmiatori sono stati tutelati a tempo di record, in Cina c’è ancora chi aspetta di rivedere i suoi soldi.

Non stupisce, dunque che, come raccontato dalla Cnn, decine di cittadini cinesi stiano manifestando da giorni davanti a una filiale della banca centrale cinese nella provincia senza sbocco sul mare dell’Henan, per chiedere indietro i propri risparmi. Essi sono tra le migliaia di depositanti in Cina che stanno portando avanti una campagna per un risarcimento dopo che lo scandalo delle banche rurali dello scorso anno ha visto i loro conti congelati. Proprio quelle banche di territorio finite in piena insolvenza a causa di prestiti erogati (spesso al comparto immobiliare) e mai più rivisti.

Ma migliaia di chilometri più a est, la situazione è ben diversa. E il paragone con Svb è giocoforza. “I clienti della Silicon Valley Bank hanno riavuto i loro soldi in tre giorni. Ma i clienti delle banche cinesi del villaggio dell’Henan non ricevono un centesimo da un anno”, hanno scritto i risparmiatori cinesi su striscioni bianchi e manifesti. L’ultimo scandalo bancario cinese è iniziato lo scorso aprile, quando cinque banche rurali, quattro nell’Henan e una nella provincia orientale dell’Anhui, hanno congelato i fondi dei depositanti perché rimaste a secco.

Uno dei malcapitati correntisti, che ha chiesto di essere identificato solo con il cognome Du, dice di aver messo i risparmi di tutta la sua famiglia, per un valore di circa 5 milioni di yuan o 726 mila dollari, in una delle banche, affermando di volere solo indietro i suoi soldi. “Vivo chiedendo l’elemosina agli altri o ricevendo donazioni”, ha detto alla Cnn. “Se non riesco a ottenere i soldi presto, io e i miei figli potremo vivere solo per strada, senza una casa”.

Pensare che presto molte altre banche cinesi, stavolta decisamente più grandi e dunque sistemiche, potrebbero finire nei guai. Perché? Semplice, il programma cinese di finanziamento delle infrastrutture, a monte della Belt and Road Initiative da mille miliardi di dollari è stato colpito da una spirale di prestiti inesigibili, con oltre 78 miliardi di dollari di crediti che si sono deteriorati negli ultimi tre anni. In altre parole, chi ha ricevuto i finanziamenti da Pechino, ora non è in grado di rimborsarli.  E così, su per giù 78,5 miliardi di dollari di prestiti da istituzioni cinesi per la realizzazione di strade, ferrovie, porti, aeroporti e altre infrastrutture in tutto il mondo sono stati rinegoziati o cancellati tra il 2020 e la fine di marzo di quest’anno.

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