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Con un blitz, dal latino lo Spirito Santo é passato all’inglese. Il nuovo Papa Robert Francis Prevost, Leone XIV, é il primo Pontefice americano della storia. Di tutto il continente americano perché anche se é nato a Chicago ha avuto le principali esperienze pastorali missionarie in Perù.

In controluce la fumata bianca fa esplodere letteralmente Piazza San Pietro e rimbalza mediaticamente in tutto il mondo :“il Papaa, il Papaaaa…” gridano tutti a squarciagola allungandone il nome, come neanche i radio-telecronisti in delirio da gol. Molti hanno le lacrime agli occhi. È un momento d’emozione e solennità, di sacralità e comunicazione globale. Non ci sono indifferenti, il Mondo intero é presente in Piazza San Pietro, consapevole del momento storico che sta vivendo. Ancora più emozionante é ascoltare l’identità che sorprende tutti del Papa eletto, Robert Francis Prevost, così come il nome pontificio scelto del neo Santo Padre: Leone XIV.

Emozione che raggiunge il culmine quando Papa Leone si affaccia fra le interminabili ovazioni dei fedeli alla loggia della Basilica vaticana e la sua espressione é la trasfigurazione della consapevolezza della responsabilità di guidare la Chiesa Universale.
La trasfigurazione dell’assunzione del ruolo di leader spirituale, non soltanto del miliardo e mezzo circa di cattolici, ma dell’intera cristianità. Un uomo solo, al centro della scena mondiale, chiamato ad indicare la rotta dell’Ecclesia negli oceani in tempesta di un pianeta sconvolto dalle guerre e dai conflitti economici, dalle ingiustizie sociali, da terribili dittature, da fame ed epidemie.

Sono davvero infinite le attese e le speranze per le iniziative di Pace del nuovo Papa. Riuscirà a fermare le guerre e i massacri in Ucraina e a Gaza? Aspettative inimmaginabili, che tuttavia il sorriso le parole e i gesti iniziali e il nome scelto dal 267° successore di Pietro appena eletto Sommo Pontefice incoraggiano a ritenere possibili.
Andrà a Mosca e a Gaza? si chiedono i più audaci, spingendosi perfino a fare paragoni con Leone Magno che nel 452 fermò Attila, il re degli Unni soprannominato “flagello di Dio”.

E sul piano dottrinario da agostiniano abolirà il celibato e aprirà il sacerdozio alle donne?
Domande epocali, molte delle quali, in particolare quelle sulle guerre in corso, otterranno rapidamente risposte per l’incalzare delle tragedie. Per il resto, oltre cercare spunti di predestinazione nella biografia e nell’attività pastorale di Robert Francis Prevost, già prefetto del Dicastero dei vescovi, qualcosa si comincerà a intuire dalle scelte minime immediate: deciderà di risiedere a Santa Marta come il predecessore o prenderà possesso dell’appartamento pontificio, continuerà ad indossare le sue scarpe o userà le pantofole papali d’ordinanza di colore rosso?

“L’importante é che sappia tenere la Chiesa unita, perché tutti guardano al Papa come un leader universale e quindi deve sapere creare comunione tra persone diverse. Si parla tanto della ricchezza della diversità poi quando c’è diventa un problema…” aveva auspicato il Cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, a Pompei in occasione della tradizionale Supplica alla Madonna del Rosario profetizzando la fumata bianca serale.

La rapidità del Conclave e l’esiguità del numero degli scrutini, consacra un’unità della Chiesa mai finora così conclamata dall’elezione di Pio XII. Per lo storico Alberto Melloni più che divisioni, quelle del Conclave appena conclusosi sono infatti differenziazioni: é una questione di sensibilità e di priorità, spiega. Mentre c’è un altro tipo di divisione ben più grave – aggiunge – e cioè “l’interesse molto forte della politica ultraconservatrice nei confronti della Chiesa. Oggi c’è un movimento evangelicale che divide le chiese in maniera orizzontale e questo per il Papato é difficile da accettare”.

Fino all’insediamento di Leone XIV, che il protocollo vaticano definisce più appropriatamente intronizzazione, il solco fra i movimenti religiosi può comunque attendere. A colpire sono state soprattutto le prime parole del Papa eletto. Pace, concordia, forte spiritualità. Affermazioni destinate come quelle dei predecessori a connotare l’avvio del pontificato.

Il 28 ottobre 1958 Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia, che eletto Papa scelse il nome di Giovanni XXIII, con la tipica espressione della sua tenerezza ringraziò il popolo romano, impartì la benedizione Urbi ed Orbi e disse: “Il mio cuore è pieno di commozione”.

Il 21 giugno 1963 Giovanni Battista Montini, che assunse il nome di Paolo VI manifestò invece il suo stile più austero e intellettuale, dicendo alla folla: “Ci presentiamo a voi con il cuore pieno di trepidazione”.

Albino Luciani, eletto il 26 agosto 1978 come Giovanni Paolo I, si presentò quasi confessando: “Mi sono trovato nella fossa dei leoni” disse, alludendo al peso delle divisioni del collegio cardinalizio.

Due mesi dopo 16 ottobre 1978 il primo papa straniero dopo secoli di pontefici italiani: il polacco Karol Wojtyła, esordì esclamando “ Se sbaglio mi corrigerete….”.

Mentre Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, il 19 aprile del 2005, affermò che “dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore.”

Ancora negli occhi e nel cuore di tutti rimane invece il “Buona sera” che segnò l’incipit del papato di Jorge Mario Bergoglio.

Un incipit che le parole di Leone XIV di pace e fraternità, di richiamo ai valori di Sant’Agostino, ovvero della stretta correlazione tra la natura umana e quella divina che permette all’uomo di trovare Dio attraverso una ricerca interiore, preannunciano la testimonianza di misericordia e carità che è già scritta nel suo motto papale: “In Illo uno unum”, in Lui solo, uno. Parole con le quali sant’Agostino spiega che l’umanità si ritrova tutta in Dio, “sebbene noi cristiani siamo molti, nell’unico Cristo siamo uno”.

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