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Realizzare l’autonomia tecnologica in tutta la catena del valore è “fondamentale”. Lo ha detto Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, nel corso del colloquio con Janet Yellen, segretaria al Tesoro statunitense, a margine dei lavori del G20 di Bali, in Indonesia.

Quello tra Giorgetti e Yellen è stato un incontro “lungo e cordiale”, si legge in una nota del ministro dell’Economia, dedicato alle maggiori emergenze economiche: inflazione, prezzo dell’energia, riforma della tassazione internazionale. Giorgetti ha sottolineato che l’Italia continuerà a supportare l’Ucraina e ha evidenziato l’importanza strategica per l’Italia di avere un prezzo dell’energia accettabile, sia per le imprese (l’Italia è il secondo Paese manifatturiero, ha ricordato) sia per le famiglie. Entrambi hanno concordato, tra l’altro, sulla centralità dello sviluppo tecnologico e la ricerca per i rispettivi Paesi.

Se si parla di autonomia tecnologica, si parla evidentemente di Cina. E le parole di Giorgetti fanno il paio con quelle pronunciate ieri da Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, alla presentazione del ventunesimo Osservatorio Altagamma. “In un’epoca di de-globalizzazione”, ha detto, “dobbiamo pensare al reshoring delle aziende”, cioè a riportare in Italia le produzioni o quantomeno ad avvicinarle in Paesi amici (friendshoring). Urso ha spiegato poi che vent’anni fa, quando lui era viceministro alle Attività produttive del governo Berlusconi con delega al commercio estero e la Cina entrava nell’Organizzazione mondiale del commercio, “il mondo si era illuso che tutti i Paesi potessero partecipare al villaggio globale”. Ma il mondo di oggi è “molto diverso”. Dunque, le produzioni, a partire da quelle fondamentali dei semiconduttori citate da Urso, devono essere meno globali per essere meno dipendenti da Paesi terzi. Facendo leva sulla supremazia economica, la Cina sta tentando di “sottomettere le nostre democrazie, dobbiamo esserne consapevoli” ha aggiunto.

Le parole di Giorgetti, già ministro dello Sviluppo economico nel governo presieduto da Mario Draghi, e di Urso, presidente del Copasir nell’ultimo anno della scorsa legislatura, rappresentano un chiaro segnale mandato dall’esecutivo di Roma a Pechino poche ore prime dell’incontro programmato tra Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Xi Jinping, leader cinese, a margine del summit indonesiano.

Come dimostrano anche le recenti interviste di Zheng Xuan, incaricata d’affari ad interim all’ambasciata cinese di Roma, Pechino sembra aver cambiato stile e contenuti nella comunicazione pubblica in Italia. Basti pensare alla Via della Seta: non si parla più di politica, al suo posto le transizioni digitale (5G ma non solo) e verde. L’Italia è cambiata rispetto a quella che nel 2019, con il governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte, firmava il memorandum d’intesa sulla Via della Seta. Con il governo di Mario Draghi, l’Italia “comprende molto bene come la Repubblica popolare cinese operi nel mondo”, aveva dichiarato Wendy Sherman, vicesegretaria di Stato degli Stati Uniti, rispondendo a una domanda di Formiche.net durante un incontro con la stampa europea a giugno. E prima delle elezioni, in un’intervista all’agenzia di stampa taiwanese Cna, Meloni aveva definito quell’intesa un “grosso errore”. “Se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”, aveva aggiunto con riferimento al rinnovo previsto nel 2024.

Via dalla Cina per tech e produzione. Le parole di Giorgetti e Urso

Il ministro dell’Economia, incontrando l’omologa americana Yellen, ha definito “fondamentale” l’autonomia tecnologica. Il titolare del dicastero delle Imprese aveva messo in guardia dai tentativi di Pechino di “sottomettere le nostre democrazie”. Il tutto, poche ore prima del programmato incontro tra Meloni e Xi

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