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Tra poche settimane il governo tedesco pubblicherà i risultati di uno stress test, annunciato a metà luglio dal vicecancelliere e ministro dell’economia Robert Habeck e condotto dai gestori delle reti elettriche. Lo scopo è analizzare il livello di sicurezza energetica della Germania, considerando la crisi in corso e le misure di emergenza – tra cui la solidarietà energetica – con cui gli Stati europei progettano di superare l’inverno. E se i risultati lo richiederanno, il cancelliere Olaf Scholz potrebbe fare marcia indietro sulla chiusura delle centrali nucleari.

Questo stress test fa seguito a un altro studio, condotto frettolosamente dal ministero di Habeck subito dopo l’invasione dell’Ucraina e pubblicato a inizio marzo, che ha fornito le basi per la decisione tedesca di chiudere le ultime tre centrali rimaste entro fine 2022. “Abbiamo nuovamente esaminato con molta attenzione se un funzionamento più lungo delle centrali nucleari ci aiuterebbe in questa situazione di politica estera”, dichiarò il vicecancelliere in un comunicato datato 8 marzo. “La risposta è negativa: non ci aiuterebbe”.

Quattro mesi dopo, la situazione è diversa. La Russia fornisce alla Germania solo una frazione del gas che potrebbe pompare e minaccia di chiudere completamente i rubinetti, sollevando lo spettro di una recessione nella locomotiva economica d’Europa – che produce il 15% della propria elettricità bruciando metano. Per liberare la risorsa e destinarla agli stoccaggi, alle case e all’industria, i tedeschi hanno riattivato le centrali a carbone, innescato piani di razionamento e cercato il supporto degli altri Paesi europei in caso di crisi.

Nel mentre, Habeck non ha cambiato linea. “L’energia nucleare non ci aiuta affatto”, ha detto a metà luglio, “abbiamo un problema di riscaldamento o di industria, ma non di elettricità, almeno non in generale in tutto il Paese”. Inoltre, ha aggiunto, solo la Russia potrebbe fornire alla Germania le barre di combustibile all’uranio necessarie per il funzionamento delle centrali nucleari. Poi ha sollevato dubbi sulla sicurezza delle centrali in via di decommissionamento. Ricalcando tutti i punti fondamentali dello studio pubblicato dal suo ministero a marzo.

Peccato che nulla fosse vero. Un’indagine di Die Welt ha smentito, punto per punto, tutte le obiezioni di Habeck, svelando come il vicecancelliere abbia mentito per mesi sull’impossibilità di procurarsi il combustibile da altre fonti (altre aziende americane avevano garantito al governo tedesco di fornirle in tempi record). Sul lato sicurezza, il capo del regolatore tedesco Tüv ha detto a Bild che “le centrali sono in condizioni tecnicamente eccellenti” e anzi si potrebbero farne ripartire altre tre, quelle chiuse l’anno scorso, nel giro di poche settimane.

Nel 2021 quelle sei centrali coprivano il 12% del fabbisogno elettrico tedesco. Viaggiando sul doppio binario della decarbonizzazione e della denuclearizzazione, Berlino progettava di sostituirle con le rinnovabili sul lungo periodo e con il gas russo per gli anni di transizione. Ma ora che il metano scarseggia in tutta l’Ue e addirittura si ricorre al carbone per produrre elettricità (sporca), quelle centrali farebbero una differenza non marginale: possono produrre abbastanza energia (pulita) da sostituire oltre 3 miliardi di metri cubi di gas da qui alla primavera (in relazione a un deficit europeo di 20).

Sulla decisione di avviare il secondo stress test ha pesato anche lo sguardo degli altri Paesi europei, a cui Berlino chiede di condividere gas per superare l’inverno. Gli esperti avvertono che non voler nemmeno riconsiderare il decommissionamento entro dicembre 2022 è considerato “molto irritante” dai partner Ue. Nella bozza del rapporto sulla crisi del gas, la Commissione aveva inserito un velato invito alla Germania a mantenere attive le sue centrali “[tenendo] conto dell’impatto sulla sicurezza degli approvvigionamenti in altri Stati membri”. Ma a Berlino c’è chi tiene il punto.

Del resto è comprensibile come un’inversione a U su un argomento così scottante possa provocare uno tsunami di imbarazzo, specie in casa dei Verdi, che affondano le loro radici nel movimento antinuclearista del secolo scorso. Ci sono loro dietro la battaglia tedesca contro l’inserimento del nucleare nella tassonomia europea. Annalena Baerbock, co-leader del partito assieme a Habeck e ministro degli esteri, ha ripetuto martedì che l’energia nucleare “non risponde alla domanda sulla sicurezza del gas in Germania”.

Intanto la realtà avanza. La vicesindaca Verde di Monaco, Katrin Habenschaden, sta parlando di tenere la centrale locale in funzione (perché fornisce il 20% dell’elettricità nell’industrializzata Bavaria). E anche i partner di coalizione sono più aperti: i liberaldemocratici della Fdp già spingono per tenere le centrali accese, mentre i portavoce del cancelliere Scholz hanno detto che la decisione sarà presa dopo i risultati.

In tutto questo, i sondaggi suggeriscono che oltre il 65% dei tedeschi adesso vorrebbe tenersi le centrali. Un cambio di opinione pubblica avvenuto anche in Olanda e Giappone, che nel 2022 hanno capovolto il processo di denuclearizzazione. Per quanto riguarda la Germania, il secondo stress test potrebbe essere il primo passo in quella direzione.

Robert Habeck Germania

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Il gas russo ai minimi termini, il ricorso al carbone, l’economia sull’orlo del baratro e l’inverno all’orizzonte stanno favorendo l’impensabile. Nonostante l’ideologia (smentita) dei Verdi, il governo tedesco potrebbe posporre la chiusura delle ultime tre centrali nucleari. E per l’ente regolatorio altre tre possono essere riaccese

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