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“Un disastro diplomatico come la visita a Mosca dell’Alto rappresentante Ue Josep Borrel è difficile ricordarselo. Responsabilità che ricade direttamente su di lui, sul suo gabinetto, e forse soprattutto sulla delegazione Ue a Mosca: perché la visita è stata preparata in una maniera pessima e ha dato modo ai russi di fare il loro lavoro, ossia fare propaganda e strumentalizzare la presenza di un’istituzione europea in Russia”.

Il commento di Nona Mikhelidze, senior fellow dello Iai, esperta dei rapporti Europa-Russia, è duro, ma trova riscontri effettivi: i media statali russi che si occupano di spingere la narrazione del Cremlino hanno usato la visita per diffondere informazioni alterate sulle sanzioni europee post-Crimea, sul rapporto di sussidiarietà con gli Stati Uniti, sulle discriminazioni che i giornalisti russi subirebbero in Ue.

Dietro al problema tecnico della visita, gli incontri e i tempi, ossia il programma, c’è chiaramente un aspetto di carattere politico strategico. “In certe occasioni è stato imbarazzante come Borrell è stato trattato durante la conferenza stampa con Sergei Lavrov, e come lui sia scivolato nel trattare il primo alleato europeo, gli Stati Uniti di Joe Biden, come fosse un problema“, aggiunge Mikhelidze.

Non bastasse, poco prima dell’inizio della conferenza stampa il ministero degli Esteri russo ha comunicato l’espulsione di tre diplomatici di Germania, Svezia e Polonia con l’accusa di aver partecipato a una manifestazione a favore del leader dell’anti-putinismo Alexei Navalny. “Uno schiaffo diplomatico a Borrell, dato in mondovisione, una prova di forza molto chiara e muscolare”, commenta un diplomatico di un paese europeo chiedendo di non essere nominato.

L’Alto rappresentante è stato incalzato e incastrato dal barrage dei media russi su un tema estremamente sensibile e attuale: le relazioni transatlantiche e la strategia comune sulla Russia, la democrazia nell’agenda globale (secondo il pensiero di un’Alleanza delle Democrazie espresso da Biden).

Perché la visita di Borrell, che lui ha difeso prima di partire come una scelta giusta e utile, si è rivelata sbagliata dunque? “Per due fattori: una realtà che è cambiata in Russia e un’altra che è cambiata alla Casa Bianca. Impossibile pianificare una visita senza tener conto di questo”, risponde Mikhelidze.

L’analista dello Iai si riferisce a tre questioni che nel 2020 si sono verificate in Russia: il referendum con cui si è data la possibilità a Vladimir Putin di governare fino al 2036; l’avvelenamento di Navalny, frutto di quella che secondo varie prove circostanziali sembra essere stata una killing mission fallita dell’Fsb, e il successivo arresto e condanna; l’approvazione di una serie di leggi con cui la Duma ha stretto il controllo su attivisti e ong, ossia sulle opposizioni.

Per l’analista dello Iai la visita andava rimandata anche alla luce della conclusione della vicenda Navalny, “o al limite si doveva alzare il piano del rispetto dei diritti come argomento centrale nella visita, magari (come si vociferava, ndr) incontrando attivisti della fondazione di Navalny. E invece ci siamo trovati Borrell che subiva le domande di Sputnik. Un’accoglienza che conferma come la Russia sia un interlocutore che in fondo non vuole il dialogo, perché anziché apprezzare i sottotoni dell’Alto rappresentante europeo hanno attaccato quella debolezza per proprio interesse”.

L’altro fattore non preso in considerazione da Bruxelles prima della partenza per Mosca è il cambiamento alla Casa Bianca, con la cosiddetta “Democracy Promotion” che sta diventando un framework di lavoro per l’asse transatlantico secondo Biden, come dimostrato nel discorso al dipartimento di Stato – il primo sulla politica estera del nuovo presidente, che ha annunciato che non intende subire le aggressioni russe, menzionando Navalny e la non tolleranza sulle violazioni dei diritti umani.

A questo punto torna la domanda del momento: cosa fare con la Russia? “Siamo chiari, anche Vladimir Putin ha parlato dei rapporti con gli Stati Uniti e ha dimostrato (per esempio con l’accordo sul “New Start”) di voler trovare incroci comuni, ma non ha mai parlato dell’Ue, e vediamo davanti a noi testimonianze sul fatto che a lui non interessi troppo ricostruire le relazioni con Bruxelles. Come dialogare se l’altra parte non è pronta a farlo?”, risponde Mikhelidze.

Ci sono grandi complicazioni sono di carattere interno, con il 2021 – anno elettorale – che è complesso per il Cremlino e per la sua stabilità, e la chiusura del sistema che è iniziata dallo scorso anno. Putin ha mostrato un indebolimento, e questo si è riassunto in un azioni di arroccamento attorno al potere. Inoltre c’è una situazione socio-economica in deterioramento anche per la crisi prodotta dal Covid. “Quando il regime va in fase di sopravvivenza per forza di cose diventa aggressivo, e lo è anche in politica estera”, aggiunga l’analista dello Iai.

C’è un punto dell’agenda europea che non si interseca con l’ingaggio selettivo che gli Stati Uniti (e in parte la Russia) sembrano voler accettare: l’Ue davanti alle sanzioni imposte a Mosca aveva elaborato una forma di contatto con la società civile russa, che è attualmente uno dei terreni su cui Bruxelles potrebbe puntare. Ma… “Dovrebbe farlo a maggior ragione in questo momento – continua Mikhelidze – perché l’Europa dovrebbe tenerci a queste relazioni con la società civile russa, e invece niente: per questo penso che sarà Biden a guidare il processo strategico con la Russia anche per conto dell’Ue”.

(Foto: Twitter, @JospeBorrellF)

Perché sarà Biden a guidare le relazioni con la Russia (anche per la Ue)

Borrell a Mosca si è mostrato debole? Secondo Mikhelidze (IaI) la risposta è sì: l’Alto rappresentante europeo poteva almeno alzare la voce sui diritti umani. E invece è finito per esporsi alle operazioni di propaganda del Cremlino, che risponde con attacchi alle aperture, segno che “non è pronto per il dialogo”

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