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“Gli Stati Uniti si impegnano a guidare la lotta globale contro questi gravi abusi dei diritti umani”, scrive l’ambasciata statunitense in Italia twittando la pagina che il dipartimento di Stato americano dedica alla persecuzione degli uiguri – popolo turcofono che abita lo Xinjiang contro cui la Cina ha avviato da tempo una campagna di rieducazione culturale attraverso la quale cancellarne l’essenza etnica (le ragioni sono svariate: dalla necessità di controllo geopolitico di quell’area delicata, punto di passaggio della Via della Seta, su cui gli uiguri hanno ambizioni territoriali nel tempo esplose anche in rivolte e radicalizzazione; fino a questioni più ideologiche legate al culto islamico degli abitanti locali contro l’ateismo professato dal Partito/Stato).

Sul sito state.gov, quello istituzionale di Foggy Bottom, c’è da oggi una pagina speciale in cui si spiega cosa sta succedendo in quella regione della Cina – o sarebbe meglio dire “in una delle Cine” che parzialmente sfugge al controllo di Pechino e su sui il Partito comunista cinese non vuole perdere nemmeno un millimetro (come su Hong Kong, Taiwan, Tibet e via dicendo per semplificazione). Le autorità cinesi hanno costruito campi di rieducazione in cui gli uiguri vengono portati anche attraverso metodi di polizia predittiva. Algoritmi individuano, sulla base di una schedatura dei cittadini locali (frutto dell’iper-controllo del Partito), individui dalle problematicità potenziali. Da lì, vengono messi nelle strutture per studiare la dottrina ideologica del Partito e intanto costretti ai lavori forzati. Ne escono “bravi cinesi”, come sostiene Pechino quando cerca di far passare il tutto come una politica di assistenza.

Il dipartimento di Stato ha anche annunciato di aver emesso cinque ordini di non rilascio su altrettanti carichi diretti negli Usa per impedire l’importazione di merci prodotte con lavoro forzato nello Xinjiang. La dogana statunitense tratterrà le spedizioni di cotone, abbigliamento, parti di computer e prodotti per capelli prodotti in Cina dagli uiguri imprigionati. “Questi ordini – dice la nota del governo americano – dimostrano che il mondo non si schiererà a favore delle violazioni dei diritti umani commesse dalla Repubblica popolare cinese contro gli uiguri e i membri di altri gruppi minoritari musulmani nello Xinjiang, che includono il sottomettere gli individui al lavoro forzato e privarli della libertà e della libertà di scegliere come e dove lavorare”.

“Queste azioni inviano un chiaro messaggio alla Repubblica popolare cinese che è giunto il momento di porre fine alla pratica del lavoro forzato sponsorizzato dallo Stato”, spiega il dipartimento. Messaggio a cui si unisce indirettamente l’Unione europea. Bruxelles ha proposto ieri alla Cina l’invio di “osservatori indipendenti” nello Xinjiang, per verificare le condizioni locali. Lo ha annunciato il presidente del Consigli europeo, Charles Michel: “Ribadiamo le nostre preoccupazioni per il trattamento riservato dalla Cina alle minoranze nello Xinjiang e nel Tibet. Abbiamo richiesto l’accesso a osservatori indipendenti nello Xinjiang”, ha detto Michel dopo una videoconferenza con il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping.

Nella conversazione sono state discusse anche le preoccupazioni europee sulla sorte di Hong Kong, aspetto che unito alla proposta sullo Xinjiang sembra rientrare nel solco di una politica più severa con cui l’Ue intende relazionarsi alla Russia. In soli tre mesi, l’opinione dei Paesi europei verso la Cina si è ribaltata infatti: ora anche l’Italia è fra gli scettici, come svela un nuovo report dell’European council on foreign relations (Ecfr) raccontato su queste colonne da Francesco Bechis. Investimenti, diritti umani, 5G sono i temi che hanno incrinato la fiducia di Bruxelles nei confronti di Pechino. Il confronto sul tema degli uiguri è di carattere valoriale ed è molto profondo, come sottolinea il dipartimento di Stato: si tratta di una questione su cui l’Occidente (qui intesto come Ue+Usa) si gioca credibilità storica e destino se non chiede conto alla Cina di ciò che sta accadendo.

Ecco come Usa (e Ue) pressano la Cina sullo Xinjiang

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