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Si scrive molto in questi giorni sui cambiamenti che l’esperienza del coronavirus sta producendo in noi italiani e sugli effetti che poi ne verranno. Se ne scrive, a volte cercando di essere oggettivi, a volte suggerendo i cambiamenti che si vorrebbero. Non è un peccato mortale e se faccio questa premessa è proprio per avvertire che neppure le mie brevi riflessioni si sottraggono a questa duplice collocazione.

La clausura cui siamo soggetti è di sicuro la prova delle grandi potenzialità delle comunicazioni informatiche. Grazie a loro tutti noi, grandi e bambini, facciamo stando in casa ciò che mai avremmo potuto fare in passato. Ma è anche la prova, sempre più eloquente col passare dei giorni, che le comunicazioni fisiche sono insostituibili per non farci sentire soli; e che stare con gli altri significa guardarsi negli occhi, sorridersi o scambiarsi anche occhiatacce, darsi incoraggiamenti con una mano sulla spalla o redarguirsi col dito.

Sarà, quello della fisicità, un bisogno crescente e credo che alla fine soddisfarlo diventerà un’esigenza primaria; tanto primaria – e qui non so se esprimo una previsione o una speranza – da farci percepire come benvenuto chiunque potremo coinvolgere nella nostra ritrovata vita di relazione: che abbia la pelle bianca o la pelle nera, che sia con la testa scoperta, col velo musulmano o con la kippah ebraica. Sentiremo un tale bisogno degli altri da scavalcare le diffidenze e le barriere che noi stessi avevamo creato.

La mia seconda riflessione riguarda la percezione ormai diffusa del nemico invisibile entrato nelle nostre vite e capace di sconvolgerle su scala globale, senza conoscere confini. Ecco, qui spererei proprio che quando questa esperienza sarà finita, non la considereremo un capitolo chiuso, ma la avvertiremo – e già molti l’hanno avvertita così – come l’antesignana di un mondo ormai diverso; un mondo nel quale è sempre meno vero ciò a cui soprattutto gli ultimi secoli ci hanno abituato, vale a dire che quello che abbiamo intorno è tutto sotto il nostro controllo.

Non è più così, dalla natura emergono fenomeni prima sconosciuti che sono più forti di noi. Ci hanno spiegato sia il come sia il perché di tali fenomeni nuovi: per restare a virus e batteri, la deforestazione, tanto conveniente per chi la fa, ha distrutto specie animali abituate a convivere appunto con virus e batteri, che sono ora alla ricerca di altri organismi in cui trasferirsi; oppure il riscaldamento dei poli, che ha scongelato i ghiacciai e con loro specie batteriche sepolte da millenni e pronte ora ad attaccarsi a noi. Il tutto in un mondo globalizzato nel quale i contagi si diffondono ovunque con la velocità dei nostri mezzi di comunicazione. Ci sono poi le grandi calamità naturali, che il cambiamento climatico renderà sempre più frequenti, con tutte le loro devastanti conseguenze.

Siamo dunque spacciati? No, ma dobbiamo seriamente attivare tutte le azioni per prevenire e per mitigare questi fenomeni, sapendo che quella del coronavirus non è una parentesi. Non si tratta di azioni impossibili e per rendercene conto basta che pensiamo a ciò che non abbiamo fatto (e che potevamo fare) in questi anni. Predisponiamo un sistema sanitario flessibile, questa esperienza ci sta insegnando a farlo. Confidiamo, per i rifornimenti di ciò che ci serve, sui Paesi che ne producono di più e al miglior prezzo, ma cerchiamo anche di differenziare i rischi, come ci insegna a fare la finanza. Sosteniamo la ricerca farmaceutica al di là delle convenienze di investimento che la portano altrimenti verso i soli farmaci per i quali già esiste un mercato. E, passando ai cambiamenti climatici, mettiamoci l’animo in pace: ha molto più ragione Greta di Trump. Ma se è lei nel giusto, il tempo è davvero sempre più scarso e i governanti di tutto il mondo dovrebbero avere già davanti un cronoprogramma che scandisce le azioni da adottare per avere ancora temperature vivibili.

Insomma, il coronavirus potrà passare. Ma per il futuro, come mai forse prima d’ora, governare vorrà dire davvero governare. Potrà spiacere a qualcuno, ma fra tirare a campare e tirare le cuoia non ci sarà più differenza e quindi possibile scelta.

(Tratto dal numero 157 della rivista Formiche, aprile 2020)

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