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Scampato pericolo. Standard&Poor’s grazia l’Italia, lasciando invariato il rating a BBB, mantenendo l’outlook negativo. La decisione, molto attesa dai mercati e dal Tesoro, lascia dunque il giudizio sull’Italia due gradini al di sopra del territorio speculativo, il livello junk. In caso di downgrade per il Paese sarebbero stati dolori nel riuscire a collocare il proprio debito, nonostante il paracadute aperto dalla Bce, disposta ad accettare come collaterali titoli sovrani junk in cambio di prestiti alle banche.

L’agenzie di ratig prevede che il deficit italiano salirà al 6,3% del Pil alla fine del 2020 con un debito vicino al 153%. Pensare che nel Def appena aggiornato dal governo nel Consiglio dei ministri, il disavanzo in realtà supererà il 10% del Pil.

Anche se la Bce, come detto, ha in parte disinnescato la mina con la recente decisione di accettare in via provvisoria fino a settembre come collaterale anche i titoli che dovessero scivolare dal paradiso degli investment grade verso l’inferno dei junk, c’era una comprensibile tensione attorno al giudizio di questa sera. Lo si è visto chiaramente nei giorni precedenti, quando i rendimenti italiani sono saliti e lo spread sul bund è tornato oltre i 220 punti basi, con rendimenti sul decennale vicini al 2%.

Che cosa avrebbe significato un downgrade di Standard&Poor’s? In via teorica perdere lo status di investment grade significherebbe infatti anche uscire automaticamente dai portafogli dei grandi investitori – in particolare assicurazioni, casse previdenziali o fondi pensione – i cui strumenti richiedono appunto requisiti minimi in termini di merito di credito. Un duro colpo anche per le banche, piene zeppe di titoli pubblici italiani. Ma per fortuna evitato. Ora l’8 maggio toccherà a Moody’s.

Standard&Poor's grazia l'Italia. Evitato l'abisso

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