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Donald Trump ha mantenuto fede alla sua parola e questa sera annuncerà i tanto temuti dazi contro l’Europa e le sue importazioni. Tradotto, vendere alle imprese americane i beni prodotti nel Vecchio continente costerà di più. Per l’Italia è già tempo di fare qualche conticino. Proprio oggi Confindustria ha rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2025 dell’economia italiana: quest’anno il Pil rallenterà a +0,6%, da +0,9% stimato a ottobre scorso. Ma, hanno avvertito gli industriali, un’escalation protezionistica potrebbe determinare un Pil in caduta a +0,2% nel 2025 e a +0,4% nel 2026. Il rischio è poi la fuga di aziende e capitali negli Usa.

La posizione dell’Italia, tenendo sempre a mente che la politica commerciale è prerogativa della Commissione europea, è chiara: pronti a rispondere, ma dialogo aperto con gli Stati Uniti, che sono e restano partner industriali fondamentali per l’economia italiana. Certo, in mancanza di accordi fruttiferi con la Casa Bianca, l’Italia potrebbe rispondere per le rime, come ammesso dalla stessa premier Giorgia Meloni, perorando a Bruxelles la causa per una raffica di contro-dazi. Ma non è la prima scelta. Una cosa è certa, l’ora è abbastanza buia. Formiche.net ne ha parlato con Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss.

“Bisogna innanzitutto capire di quanto sarà l’elevazione delle tariffe, sappiamo che in Cina è stata fissata un’asticella, mentre per Messico e Canada la stretta è stata rinviata in seguito alle negoziazioni bilaterali fra i rispettivi governi”, premette Lombardi. “E poi occorre verificare se l’applicazione della maggiorazione tariffaria sarà immediata o meno. Detto questo, quello che bisogna tenere bene in mente è che siamo dinnanzi solo un primo round, per portare le parti al tavolo e avviare un negoziato”.

Secondo Lombardi “occorre entrare nel meccanismo, aprire un confronto con un’amministrazione Trump che utilizza le tariffe per mettersi in una posizione di forza nell’ambito di un confronto che possa poi portare a una riduzione delle stesse tariffe”. Quanto al dibattito in Europa, tra chi sostiene la necessità di una reazione violenta e muscolare e chi invece predilige la via del dialogo e del confronto, “è necessario capire in quale ottica si inquadra la scelta di Trump. I dazi, essenzialmente, servono, nell’approccio di questa amministrazione americana a negoziare. Rispondere con una vendetta, indurrebbe la Casa Bianca a un pericoloso rilancio, scatenando una guerra commerciale persino peggiore”.

E invece, spiega l’economista, “negoziare potrebbe essere vantaggioso per ambedue le parti. Tanto per cominciare, gli Stati Uniti potrebbero ottenere un allentamento regolatorio sulle big tech in Europa, il quale a sua volta potrebbe beneficiare vasti settori in Europa che intendano utilizzare applicazioni di AI. Si può, inoltre, attrarre  maggiori  investimenti dagli Stati Uniti stessi. Insomma, si conseguirebbe un doppio beneficio, che faciliterebbe lo sviluppo digitale in Europa. Sarebbe per questo sbagliato rispondere in modo meccanico, non c’è nessuna ragione economica per cui gli Usa dovrebbero apporre dazi all’Ue, la ragione è assolutamente negoziale”.

Per tutte queste ragioni, “la risposta europea dovrà essere strategica e non burocratica, il messaggio e la posizione italiana dovrà convincere, come lo stesso esecutivo si sta adoperando di fare, le cancellerie europee. Facendo leva sul fatto che l’Italia gode di una posizione di dialogo privilegiato con gli Usa, che può far valere con gli altri Paesi europei e che non sarebbe nell’interesse di nessuno sacrificare o vanificare”.

 

Sui dazi meglio negoziare. Conviene all'Europa e anche agli Usa. Lombardi spiega perché

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