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Non è sufficiente puntare il dito contro i populisti o dolersi dei voti andati altrove, per governare bene l’Europa occorre scegliere politiche giuste e comunicarle con efficacia all’elettorato, di cimiteri pieni di cose giuste che sono state seppellite ce ne sono tanti.

Lo dice a Formiche.net il prof. Vittorio Emanuele Parsi, uno degli analisti più attenti del panorama internazionale, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e autore per Bompiani de “Madre Patria”.

Perché il governo italiano è l’unico a non aver subito un voto di protesta alle europee?

In Francia e in Germania le preoccupazioni economiche sono state molto pesanti e Berlino è in recessione. Sostanzialmente la Francia è attraversata da disordini sociali, per così dire, da tanti anni ormai. E questo in Italia è molto meno evidente. Un altro tema su cui in Francia e Germania hanno pagato un prezzo molto alto è la questione dell’immigrazione. E Meloni sull’immigrazione è molto più vicina alla Le Pen.

Da questo punto di vista c’è una differenza strutturale tra le destre, per esempio quella tedesca e quella inglese o quella francese, rispetto alla destra della Meloni?

FdI è un partito che assomiglia molto a una Democrazia cristiana di destra, ovvero ha questa tendenza a trasformarsi in centro per poi frenare sui richiami della foresta identitaria: la premier si è proposta con questa ambivalenza, per cui da un lato con politiche concrete e dall’altro con un forte allineamento con gli alleati sulle questioni importanti, sia pure senza mai esporsi eccessivamente.

Le enormi difficoltà di Francia e Germania cosa possono produrre a livello di stabilità europea?

In Germania la preoccupazione è legata sia alla figura poco carismatica del cancelliere, sia ai Verdi che sono stati all’avanguardia ma oggi pagano dazio, a causa delle politiche green e della coerenza rispetto ai principi di libertà. In Francia il quadro è più complicato, perché Macron che era un leader carismatico nella prima elezione ma poi si è progressivamente appannato, oggi ha tentato un’operazione molto politica: andare subito a elezioni per mettere in difficoltà i ministri.

In che modo?

O si riesce a fare una coalizione nazionale attraverso gli apparentamenti, quindi si riduce il peso di questa vittoria di Rassemblement national alle europee, oppure si logora nei due anni di convivenza con il governo lepenista. Macron sa che non potrà ricandidarsi, ma non uscirà dalla vita politica. Per cui oggi cerca di lasciare al suo successore una possibilità.

Un Parlamento europeo così diverso rispetto a cinque anni fa quali indicazioni potrà dare sulla politica estera?

Non mi aspetto grandi cambiamenti se resterà centrale il Ppe. Sulle politiche green era già in corso una dolce frenata per cui credo che si andrà avanti in quella direzione e nel cercare di modulare in maniera più soft le decisioni, magari guardando con attenzione cosa fanno gli altri.

Politiche industriali diverse come potranno essere messe in pista?

L’Unione su questo è sempre stata molto titubante, dal momento che non esiste una politica industriale europea. Ciò che potrebbe iniziare a esistere passa attraverso la necessità di avere un comparto della difesa autosufficiente o il più possibile autosufficiente, quindi nell’emergenza bellica rientrano le politiche industriali.

Da dove deve ricominciare l’Europa dopo questo voto per capire cosa migliorare?

Non è sufficiente puntare il dito contro i populisti o dolersi dei voti andati altrove, per governare bene l’Europa bisogna guadagnare il consenso, occorre scegliere politiche giuste e comunicarle con efficacia all’elettorato. Di cimiteri pieni di cose giuste che sono state seppellite ce ne sono tanti.

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“La politica estera dell’Ue? Non mi aspetto grandi cambiamenti se resterà centrale il Ppe. Macron? Era un leader carismatico nella prima elezione ma poi si è progressivamente appannato. Nell’emergenza bellica rientrano le politiche industriali”. Conversazione con Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

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