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20,7 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari, di cui 10 milioni non hanno accesso regolare all’acqua potabile e 4,5 milioni rischiano seriamente di morire di fame nei prossimi mesi. Sono i numeri della guerra in Yemen, lo Stato mediorientale al confine meridionale dell’Arabia Saudita, da anni ormai dilaniato da una guerra intestina e internazionale poco seguita dai media occidentali, ma che ha fatto sprofondare nell’emergenza umanitaria, ora aggravatasi con un’epidemia di colera, un Paese già povero e socialmente diviso. Da una parte ci sono i ribelli Houthi, gli sciiti zayditi finanziati sotto banco dall’Iran che controllano la parte nord-occidentale dello Yemen, compresa la capitale Samaa. Dall’altra una coalizione internazionale degli Stati (sunniti) del Golfo guidata dall’Arabia Saudita, intervenuta a difesa del legittimo governo di Abd-Rabbu Mansour Hadi nel 2015.

Giovedì l’Hotel della Minerva di Roma ha ospitato una delegazione interministeriale saudita, in visita in Italia per spiegare la sua versione del conflitto yemenita e soprattutto raccontare i mastodontici aiuti umanitari alla popolazione dello Yemen di cui il re Salman in persona si è fatto carico. Il panel organizzato dall’ambasciata dell’Arabia Saudita, dal titolo “Partnering for a Sustainable Peace in Yemen”, ha avuto come ospite d’onore Abdullah bin Abdulaziz Al Rabeeah, consigliere del re Salman (nella foto) e supervisore del KSrelief center, imponente organizzazione umanitaria creata e finanziata dalla famiglia reale. Con lui il ministro del Governo locale (di Hadi) in Yemen Abdualraqeb Saif Fateh Al Dubai, il presidente della commissione Difesa del Senato Nicola Latorre (Pd) e Chris Kaye, direttore della divisione partnership governative del World Food Programme (WFP). In sala viene distribuito un lungo depliant che racconta la guerra yemenita secondo l’Arabia Saudita, “il più grande donatore singolo di aiuti umanitari allo Yemen, con più di 847 milioni di dollari”. Il KSrelief vanta in particolare collaborazioni con le più importanti organizzazioni umanitarie, dall’Unicef all’UNHCR fino alla statunitense USAID. Eppure alcune di queste, come Save The Children, accusano in questi giorni la coalizione saudita di essere responsabile dell’aggravarsi della crisi umanitaria. Specie dopo che Rihad ha chiuso a inizio novembre le vie di accesso alle regioni Houthi, come rappresaglia contro un missile proveniente da quelle terre che ha colpito la capitale araba. “Ci sono stati 95 feriti e 5 morti in Arabia per quegli attacchi con i missili balistici” risponde Al Rabeeah, “i ribelli Houthi hanno confiscato 65 navi umanitarie, usano i bambini-soldato, spargono mine anti-uomo per colpire i civili”.

Il consigliere fidato del re Salman, che come primo lavoro fa il chirurgo, elenca con orgoglio gli interventi umanitari del KSrelief, cresciuto esponenzialmente dalla sua fondazione nel maggio del 2015. “Abbiamo accolto 361.911 migranti yemeniti in Arabia, non li mettiamo nei campi, li integriamo e permettiamo ai bambini di andare alla scuola pubblica e accedere alle cure mediche. Trasportiamo i feriti con più di 258 camion, ma se è necessario utilizziamo anche i cammelli e gli asini, quando si è in difficoltà bisogna essere creativi”. A chi punta il dito contro i crimini di guerra sauditi Al Rabeeah chiarisce che “L’Arabia Saudita ha aderito a pieno alla risoluzione ONU 2216, ci sono più di 41.000 zone protette che Rihad non usa come target per non colpire i civili”. Alle organizzazioni internazionali presenti soprattutto nelle regioni Houthi rivolge un appello: “Decentralizzare gli uffici internazionali e dell’UE su tutto il territorio dello Yemen, per avere un quadro completo di ciò che sta accadendo”.

Meno diplomatico il ministro yemenita Al Dubai, che “ripugna il silenzio delle organizzazioni internazionali, che non condannano il tentativo degli Houthi di tagliare i corridoi umanitari, e di utilizzare gli aiuti per supportare la loro guerra. A differenza loro, la Croce Rossa emiratina e il Kuwait stanno aiutando senza pregiudizi o condizioni”. L’intervento del ministro di Hadi è marcatamente politico: “Non c’è stato alcuno tsunami o disastro naturale a causare questa crisi umanitaria, è una guerra portata avanti da una minoranza violenta”. Eppure, ricorda Al Dubai, il governo legittimo ha sempre incluso gli Houthi nelle trattative, prima che scoppiassero le violenze: “Il presidente eletto Mansour Hadi ha portato avanti per un anno un dialogo con 666 rappresentanti yemeniti, capi tribù, partiti e organizzazioni della società civile. Quando abbiamo stilato una bozza di costituzione di uno Stato federale decentralizzato, gli Houthi hanno minacciato di prendere il potere con la forza”.

“Condanniamo fermamente il missile sparato verso Rihad”, ha detto il senatore Latorre al termine dell’incontro, mentre la sala risuona di applausi. L’endorsement del governo italiano è tutto per la coalizione di Rihad, e va esattamente nella direzione opposta delle proteste umanitarie contro i sauditi: “Noi crediamo che debba essere posto un embargo ai rifornimenti per i ribelli, lo Stato di diritto deve essere ristabilito con il ritorno del governo legittimo”. Nulla da dire, come prevedibile, sulla politica domestica di Rihad, da settimane sulle prime pagine dei quotidiani mondiali per l’ondata di purghe, anche interna alla famiglia reale, voluta dal principe Mohammed bin Salman, di cui invece Latorre loda il programma energetico Vision 2030 e “lo sforzo di modernizzazione del Paese”. Un timido accenno alla crisi in Libano, il cui premier Hariri è da molti ritenuto detenuto politico di Rihad: “Speriamo che si trovi una soluzione politica in Libano, dove più di 1000 soldati italiani si trovano in missione con l’Onu”.

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